Montagna

Dolomiti Unesco e overtourism: il confronto sulle "responsabilità" si fa rovente

Se Finazzer (Comitato passi) ritiene che il riconocimento internazionale favorisca un turismo superficiale, Casanova di Mountain Wilderness replica: «Dolomiti massacrate da noi abitanti che abbiamo eletto amministratori privi di visioni. La Fondazione riprenda percorsi virtuosi». Da Trento la Provincia difende il ruolo Unesco, idem Federalberghi Belluno-Dolomiti: «Valore aggiunto»


Zenone Sovilla
TRENTO


Il riconoscimento delle Dolomiti come patrimonio dell'umanità Unesco sta favorendo un effetto inverso a quello desiderato? Anziché una maggiore tutela della meravigliosa catena montuosa, l'accentuarsi dell'assalto turistico ai suoi luoghi più iconici? O la causa non risiede piuttosto nella gestione locale poco lungimirante, cioè in primis (ma non solo) nelle scelte politiche fatte dagli enti delle regioni e province coinvolte?

La questione è rimbalzata sui media dell'intera area dolomitica dopo un intervento di Osvaldo Finazzer del Comitato per la salvaguardia dei passi dolomitici. «Forse, è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco e tornare al duro lavoro di produrre, offrire e promuovere servizi di qualità come siamo abituati a fare e non cartoline», si legge in un intervento da molti giudicato una provocazione per approfondire il dibattito.

Immediate sono state le reazioni negative a questa interpretazione del ruolo Unesco sulle Dolomiti.

Il punto principale di chi critica questa presa di posizione riguarda l'attribuzione di responsabilità al riconoscimento Unesco, una sorta di distrazione, mentre in realtà le cause vanno individuate nelle politiche locali inadeguate e ferme a una visione obsoleta del turismo in montagna. È questa la reazione, per esempio, di Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness Italia: «Le Dolomiti sono state massacrate da noi che le abitiamo, siamo stati noi a eleggere amministratori privi di visione. Siamo stati noi (il comitato dei passi nello specifico) a impedire un’intelligente gestione degli accessi alle auto private in quota».

Insomma, è scontro in realtà sulle politiche per favorire una certa evoluzione del territorio dolomitico.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo all'intervento che ha sollevato la polemica. A proposito delle ben note criticità, il comitato guidato da Finazzer ricorda a titolo esemplificativo luoghi come il lago di Braies in Alto Adige, paragonando l'effetto turistico a ciò che si registra in Costiera Amalfitana o alle Cinque Terrema lo stesso si potrebbe dire per le Tre Cime di Lavaredo, al confine fra Belluno e Bolzano, dove ora il Comune di Auronzo ha introdotto come mitigazione un sistema di prenotazione obbligatoria per chi non ci sale a piedi.

Anche Finazzer sottolinea il ruolo dei social network nell'attrarre i turisti da selfie e da cartolina, il mordi e fuggi che però crea una enorme pressione sui delicati territori d'alta quota, intasa le strade (peraltro spesso ormai utilizzate come circuiti di formula uno per sfide fra rumorosissimi bolidi a due o a quattro ruote).

Secondo Finazzer, quella che si crea in questo modo è «una notorietà superficiale», frutto di «una politica di promozione del territorio miope e poco lungimirante». Si genera, infatti, «un flusso turistico non strutturato, con presenze brevi non programmate ed occasionali, poco coinvolte nelle proposte culturali e nei servizi locali, orientati più alla condivisione immediata dell'immagine che alla scoperta autentica del patrimonio territoriale».

Sul caso della fiction tv "Un passo dal cielo" che ha amplificato la celebrità del lago di Braies, Finazzer osserva in particolare che si crea un circolo vizioso fra tv e social: «La serie televisiva rende famoso un luogo accessibile, i social amplificano, l’eccesso di turismo aumenta la popolarità che ne aumenta l’overtourism e alla fine si chiudono gli accessi dando la colpa all’overtourism. Ma la responsabilità è davvero dell’overturism, o è di chi ha fatto scelta di sostenere l’ambientazione di Braies per la fiction televisiva? È vero sono fenomeni complessi, è vero nessuno immaginava questo risultato, ma c’è una causa ed un effetto evidente e nessuna assunzione di responsabilità.

Secondo Finazzer, quello del riconoscimento Dolomiti Unesco è un caso simile: «Si crea una notorietà mondiale su un’area geografica facilmente accessibile. Una notorietà superficiale, di facciata, legata solo all’immagine da cartolina e come tale da catturare con il telefonino e condividere sui social. La causa dell’overtourism nelle Dolomiti siamo sicuri che non sia legata alla scelta di farne un sito Unesco? 

Unesco rende famoso a livello planetario un sito accessibile, i social amplificano il messaggio, l’eccesso di turismo aumenta la popolarità che ne aumenta l’overtourism e alla fine si chiudono gli accessi dando la colpa all’overtourism.

Pare una politica di promozione del territorio miope e poco lungimirante e poi ci si lamenta che invece di avere un turismo qualificato, rispettoso, attratto dalla cultura delle valli, dai servizi offerti, siamo invasi da un flusso turistico non strutturato, con presenze brevi non programmate ed occasionali, poco coinvolte nelle proposte culturali e nei servizi locali, orientati più alla condivisione immediata dell’immagine che alla scoperta autentica del patrimonio territoriale».

Da qui l'invito a una riflessione profonda: «Vogliamo vendere l’immagine da cartolina del sito Dolomiti Unesco o vogliamo costruire una economia turistica di qualità, con servizi di qualità, con un turismo che si ferma nel territorio, che cammini sui sentieri, che conosca l’identità e la cultura dei luoghi?.

Le due cose: immagine da cartoline e turismo di qualità non possono convivere, vedi Braies, Dolomiti, Costiera Amalfitana o Cinque Terre. Forse è arrivato il momento di rinunciare al riconoscimento Dolomiti Unesco che ha fatto un danno incredibile nelle Dolomiti, e non solo qui, e tornare al duro lavoro di produrre, offrire e promuovere servizi di qualità come siamo abituati a fare e non cartoline».

Ma l'idea che il riconosicmento Unesco possa catalizzare fenomeni indesiderati nel turismo dolomitico viene respinta da vari soggetti, a Trento c'è la presa di distanze della Provincia, con l'assessore Mattia Gottardi, membro del consiglio di amministrazione della fondazione Dolomiti Unesco, che chiude la porta a un dibattito basato su queste premesse: «"Né la fondazione Dolomiti Unesco né il grande lavoro dei territori meritano queste estremizzazioni e paradossi».

Per parte sua, Federalberghi Belluno-Dolomiti restituisce al mittente l'ipotesi di mettere in discussione il marchio Unesco il cui presidente, Walter De Cassan, sottolinea il valore rappresentanto dal riconoscimento che attesta la qualità del territorio. Altro sono le necessarie politiche per governare l'economia turistica per le quali, secondo gli albergatori bellunesi, esistono strumenti che vanno utilizzati.

Questa mattina, 6 agosto, sulla questione interviene anche Luigi Casanova, presidente di Mountain Wilderness Italia, fiemmese con radici bellunesi e tra le figure più attive nel dibattito sulla questione alpina.

Casanova critica l'attacco alla fondazione Dolomiti Unesco da parte di soggetti economici «che mai hanno partecipato ai tavoli di confronto nella costruzione del piano di gestione del patrimonio universale».

Il noto esponente del mondo ambientalista parla dunque di «superficialità» e richiama l'attenzione su ciò che rappresentano realmente la gestione della Fondazione e gli scopi di un patrocinio Unesco dedicato a un patrimonio naturale.

«In questo disordinato incrocio di commenti emerge la superficialità tipica di quanti accusano una istituzione di non funzionare o perché causa della burocrazia (costruita su norme, in Italia democratiche, di rispetto di una collettività e di beni comuni) o di un segretario comunale nel caso di municipalità. Anche nel caso della Fondazione si accusa la macchina e si tace su chi la guida.

Dolomiti Unesco è un sogno che si è consolidato non solo sul territorio interessato, ma come doveva essere nell’attenzione internazionale. Dire che l’overturisno è causa di questo riconoscimento è perlomeno sciocco.

Se le Dolomiti sono travolte da turisti che non conoscono la montagna è perché sono diventate dominio di auto, fuoristrada, quad, sconvolgimenti paesaggistici con luoghi di ristorazione che grazie a incoscienti deroghe hanno potuto raddoppiare le volumetrie, è causa delle infrastrutture che abbiamo imposto alle montagne, a suon di furbate amministrative.

Parliamo di strade, parcheggi in quota, impianti funiviari che aumentano capacità di trasporto, alberghi di lusso.

Strutture che ancora oggi vengono sostenute dagli enti pubblici, pensiamo al Comelico, alle opere delle Olimpiadi compresi i tanto decantati e folli nuovi collegamenti sciistici, causa i villaggi del lusso che si intendono imporre a Auronzo come sul Monte Rite.

Le Dolomiti sono state massacrate da noi che le abitiamo, siamo stati noi a eleggere amministratori privi di visione. Siamo stati noi (il comitato dei passi in specifico) a impedire un’intelligente gestione degli accessi alle auto private in quota.

Se la Fondazione da tempo è strumento inadeguato alla gestione di un territorio tanto fragile e affascinante la responsabilità va ricercata unicamente nei politici che a oggi l’hanno gestita, specialmente nell’ultimo decennio. Sono questi politici, della Regione Friuli Venezia Giulia, del Veneto, delle Province autonome di Trento e Bolzano che hanno deciso di lasciare ammuffire nei cassetti il piano di gestione Dolomiti 2040 e privarlo di decisioni che erano state concordate con uno straordinario, per l’Italia innovativo, metodo partecipativo dal 2014 al 2017.

Non riprendo i temi che queste amministrazioni hanno evitato di affrontare: è certo che qualora la Fondazione Dolomiti Unesco intenda riprendere percorsi virtuosi deve investire in una rifondazione progettuale e avere coraggio di decidere e di non rimanere succube dei poteri di pochi, ma potenti operatori economici.

Noi ambientalisti alcuni temi li abbiamo proposti, anche recentemente: accessi alle Tre Cime di Lavaredo, un piano di rinascita della Marmolada, i divieti coerenti all’eliturismo, alcuni esempi. La Fondazione non ha mai avuto nemmeno la cortesia di rispondere a queste nostre richieste. Anche per questo perde credibilità nei territori.

Ritornando al Comitato dei passi. L’attuale clientela che frequenta le Dolomiti, definita inadeguata, è frutto dell’insieme di infrastrutture che si sono imposte alle quote alte, specie causa l’industria funiviaria, i diffusi orpelli – giochi presenti nelle aree urbane, uno scimmiottamento delle offerte che troviamo nelle pianure.

Se si vuole  agire sul lato dell’offerta, come sostenuto dal Comitato, cominciamo a ripulire, quindi togliere dalle alte quote tante recenti oscenità, parcheggi facili, ridurre gli accessi specie dei mezzi a motore. Si invoca la pista ciclabile modello lago di Garda. Ma non si vorrà mica portare una tale sconcezza paesaggistica e non funzionale anche sulle Dolomiti? Dove la inseriamo una simile ciclabile? Andiamo a stracciare ulteriormente boschi e pascoli quando una sede stradale, più che idonea allo scorrimento dei ciclisti, già esiste? Ovviamente chiudendo a ore i transiti delle auto private e potenziando il trasporto pubblico, offrendo sostegno (riduzione dei costi) al trasporto con l’impiantistica esistente.

Stiamo attenti quando parliamo di ridurre le potenzialità di Unesco sui territori. Non possiamo più permetterci di perdere una simile potenziale garanzia di qualità. Abbiamo una sola strada da intraprendere: richiamare i politici che governano questi territori a un’assunzione di responsabilità della quale oggi nemmeno si intravvede orma. E magari, lavorare assieme affinché Unesco a Parigi ridefinisca cosa significa territorio tutelato, come lo si gestisce, quindi invocando Parigi e Unesco Italia affinché portino maggiore rigore e trasparenza nella gestione degli ormai invasivi e eccessivi patrimoni sparsi per il mondo», conclude Casanova.

Torna, in fin dei conti, il confronto fra chi immagina scenari diversi e fra loro non sempre compatibili della fruizione turistica e in generale economica dei territori d'alta quota. Fra, per esempio, chi denuncia ritardi di decenni nell'introduzione di dispositivi radicali di mitigazione dell'impatto umano e chi preferisce altri modelli economici e politici di gestione dei territori. Un dibattito che certamente non finisce qui.













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