«Per 6 ore in una stanza  senza acqua e assistenza» 

Al San Lorenzo di Borgo. Daniela Giongo lamenta la mancanza di attenzioni nei confronti del papà con l’Alzheimer ricoverato al Pronto soccorso: «Cose migliorate dopo il cambio turno» 


Marika Caumo


Borgo. In Pronto soccorso con un malato di Alzheimer. Parte così la lettera inviata da Daniela Giongo al Trentino, nella quale racconta l'esperienza del papà, 84 anni, che in 3 mesi, è passato dal guidare l'automobile al non essere più autonomo. Si chiama Alzheimer è colpisce sempre più anziani, una demenza che si ripercuote sulle famiglie che si trovano all'improvviso, senza strumenti e conoscenza del problema, a dover cambiare drasticamente abitudini, ad accudire giorno e notte i loro cari.

Il papà con l’Alzheimer

«Noi, cioè la moglie 72enne, i tre figli e la nipote, siamo tutti coinvolti in questo cataclisma. Solo chi lo prova sa di cosa parlo», spiega. Il papà di Daniela ha dovuto ricorrere un paio di volte alle prestazioni del Pronto soccorso ed è una di queste che la signora ha voluto raccontare, per porre l'attenzione su un problema che, come confermato dal direttore medico del San Lorenzo di Borgo, esiste.

Il racconto

«Arrivo in Pronto soccorso verso le 8 per dare cambio a mio fratello. Verso le 8.45 arriva l’infermiera di turno a dirmi, con tono molto scocciato, “venga a tenerlo sul lettino”. Entro in una delle sale osservazione breve e trovo papà sconvolto, molto agitato e in stato confusionale, che cerca di alzarsi dal lettino per arrampicarsi chissà dove. Lì non c’era nessuno a controllarlo. Era in stanza con un altro anziano e un ragazzo, entrambi con i loro accompagnatori (chiacchiere, rumori, telefoni che suonavano, luci sparate in faccia dal soffitto). Ho iniziato a consolarlo accarezzandolo e rassicurandolo per almeno un paio d’ore finché si è calmato un po’. Per 6 ore, dalle 8.45/9 fino alle 14.30 (forse 15, non ricordo bene) non è venuto nessuno a controllare come stesse, se avesse bisogno di qualcosa o perlomeno a darmi delle indicazioni su quanto avremmo aspettato. Aveva la bocca secca e mi ha implorato di avere dell’acqua. Sono andata a chiedere un po’ d’acqua ed ho cercato di capire dall’infermiera a che punto fossero le analisi a cui avevano sottoposto il papà, ma la stessa mi rispondeva sempre con tono scocciato dicendo che erano in alto mare e che avremmo aspettato delle ore. Con il cambio turno le cose sono migliorate, una delle due infermiere del pomeriggio era proprio in gamba e veniva a controllarlo quando dalle telecamere vedeva che si agitava».

La riflessione

Daniela continua: «Noi figli ci siamo chiesti: come è possibile che nel 2019 un Pronto soccorso non sia opportunamente attrezzato con uno spazio apposito per questo tipo di malati, che non possono essere gestiti come un paziente comune? Come è possibile che il personale che lavora lì non sia adeguatamente formato su come comportarsi con i malati di Alzheimer? Pur capendo che la carenza di organico e i turni massacranti portano gli operatori al limite, come si può dire alla moglie 72enne di un malato di Alzheimer che il Prontom soccorso non può fare nulla, che il paziente va gestito a casa e che i figli devono collaborare?».

Il direttore del San Lorenzo

«Ciò che è accaduto è spiacevole e questa segnalazione sarà approfondita- spiega il direttore medico Pierantonio Scappini, raggiunto al telefono -. Al di là dei limiti e difficoltà logistiche e strutturali che ci sono, in questo caso ci sono state mancanze nella modalità di approccio e gestione del paziente».

Scappini spiega, infatti, che se da un lato è evidente che la struttura di Borgo è datata ed a livello logistico non è possibile ricavare stanze per pazienti affetti da demenza, dall'altra questa lacuna viene sopperita con una formazione ed attenzione particolare ai cosiddetti "Codici Argento", codice che indica i pazienti anziani, in tutte le loro patologie e complessità. Codice che è trattato come urgenza. Il direttore ricorda che la formazione viene fatta ed anche Borgo segue il progetto “Ospedale che cura con cura”, percorso specifico partito da poco che va proprio in tal senso. «Una modalità di approccio e gestione che in questo caso non ha funzionato. Ci viene riscontrato l'incapacità di aver soddisfatto quei principi che ci siamo dati. Abbiamo mancato nella parte relazionale, nelle attenzioni che bisogna adottare nei confronti di questi pazienti e delle loro famiglie, sempre, indipendentemente che si trovino al pronto soccorso per patologie minime o meno», precisa. Ricorda anche che tra fine inverno e inizio primavera sono stati mesi particolarmente difficili, con il reparto di medicina sovraffollato, un eccesso di ricoveri che in alcuni casi sono stati sistemati in maniera non adeguata proprio per la mancanza di spazi. Impossibile dunque trovare stanze esclusivamente per pazienti con demenza. «Vediamo di capire cosa è successo, per correggere gli errori e richiamare le iniziative messe in campo al fine di risolvere e migliorare», conclude.















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