Truffa delle riviste di polizia «Così volevano imbrogliarmi» 

La denuncia di una dottoressa. Contattata da una donna che si spacciava per cancelliere di Milano chiedendo denaro per uno sconto sul credito. Prima la telefonata, poi una mai che proponeva un accordo


Luca marognoli


Trento. La telefonata in studio, quello di un medico di Trento, arriva da un sedicente vicecancelliere del tribunale di Milano: «Buongiorno signora, le abbiamo inviato una notifica che però è stata rispedita al mittente. È questo il suo indirizzo corretto?».

«La via è quella, il numero civico no. Ma, se è lecito, qual è l’oggetto della notifica?»

«Guardi, io non lo so, può anche essere una semplice multa... Mi faccia controllare: ah no, è un atto depositato da una casa editrice da cui risulta che lei abbia sottoscritto un abbonamento ad una rivista della polizia senza averlo disdetto mediante raccomandata con ricevuta di ritorno».

«Strano, io non ho sottoscritto nessun abbonamento...»

«Signora, non è necessario che lei abbia firmato una carta. Per perfezionare questi contratti basta anche un assenso dato al telefono. Poi se la portano in tribunale è difficile dimostrare il contrario: è la sua parola contro la loro... Però un modo per risolvere la situazione senza che lei venga qui a Milano ci sarebbe...»

«E quale?»

«Può accettare un accordo stragiudiziale che le permette di pagare la metà del debito: nel suo caso 970 euro. Se lei, signora, mi autorizza, io procedo ma mi deve assicurare che poi non cambia idea, altrimenti le cose si complicano. Guardi, io vado dal giudice per istruire la pratica e poi le mando tutto via mail».

Il medico è insospettito ma sta al gioco: vuole vederci chiaro. Così asseconda l’interlocutore e gli fornisce l’indirizzo. Nel pomeriggio, rapidissima, la mail arriva: lo scrivente spiega i termini dell’accordo e fornisce un codice Iban dove accreditare la somma richiesta. Il nome della dottoressa trentina (e qui sorgono altri dubbi) però è vistosamente sbagliato: il mittente deve averlo ricavato dall’indirizzo email, che ricorreva ad abbreviazioni del cognome. Per il resto, lo stile sembra credibile: il credito viene vantato da una azienda, diversa dalla prima, che si dice autorizzata alla riscossione su scala nazionale. Gli accorgimenti per fare cadere nella rete la vittima di turno sono piuttosto ben congegnati: prima la telefonata del sedicente vicecancelliere, poi l’email con codice Iban. Nel caso della dottoressa trentina però non funzionano. Una verifica al centralino dell’azienda che dice di vantare il credito le permette di scoprire che il numero è inesistente e ulteriori controlli su internet (con l’aiuto del figlio) fanno venire a galla una maxitruffa che a fine marzo del 2017 aveva visto 4 arresti e 25 indagati nel Milanese. Persone (risultate titolari di alcuni call center) che per mettere a segno i loro colpi arrivavano anche a spacciarsi per magistrati usando nomi di prestigio come quello di Ilda Boccassini. E che non esitavano a intimidire le loro vittime, soprattutto anziani, con minacce più o meno esplicite. Tra loro un imprenditore, che era arrivato a sborsare 165 mila euro. Ciò che sorprende è che due anni dopo la stessa truffa (ignoti gli autori) sia ancora in atto. La cautela è d’obbligo. In tribunale spiegano che nessun giudice firmerà mai un accordo stragiudiziale. Mentre i carabinieri avvisano: se vi chiedono un indirizzo email date il nostro.













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