Tragedia di Stava: un quarto di secolonon cancella il dolore e la ferita

Ricordata la strage 25 anni dopo. Ad inizio cerimonia il parroco di Tesero ha parlato di «tragedia che pesa ancora sulla coscienza di alcune persone», mentre monsignor Bressan ha ricordato la pericolosa «tendenza all’oblio, tipica dei nostri giorni»



TESERO. Venticinque anni, un quarto di secolo. Un’eternità. Eppure nei volti tirati di chi occupa le prime file della piccola chiesa di Tesero la leggi ancora la sofferenza di una ferita - forse rimarginata - ma che ancora duole e fa lacrimare. C’è un segno - chiaro e inconfondibile - che gli anni sono passati: sono quelle facce segnate dalla vita vissuta, le rughe, i capelli bianchi di chi ieri ha deciso di esserci. Sono la maggior parte, a testimonianza che sì, il 1985 è un anno lontano sul calendario, ma ciò che avvenne il 19 luglio nella valle di Stava fu una catastrofe più grande anche dell’oblio e del tentativo (umanissimo) di dimenticare il dolore. Basta pronunciarla quella parola, «Stava», per sentir correre un brivido freddo nella schiena. Ed è strano che a questa piccola frazione raccolta e baciata dal sole, che chiede ora (e chiedeva allora) soltanto d’essere lasciata ai suoi ritmi lenti di vita di montagna sia toccato il destino di rappresentare - in quel nome che ognuno in Trentino conosce - il sopravvento dell’umana brama di denaro sulla natura e le sue semplici regole. Lo ha ricordato anche monsignor Luigi Bressan durante la cerimonia celebrata nella chiesa parrocchiale alla presenza delle massime autorità civili.
Seduti nelle prime file o nascosti nelle retrovie c’erano il presidente della Provincia Lorenzo Dellai, il commissario del governo Francesco Squarcina, il vice presidente del consiglio provinciale Claudio Eccher e il presidente del consiglio regionale Marco Depaoli. E ancora, l’assessore (fiemmese doc) Mauro Gilmozzi, i parlamentari Laura Froner (Pd) e Giacomo Santini (Pdl) oltre ai consiglieri provinciali Luigi Chiocchetti (Ual), Luca Zeni (Pd), Pino Morandini (Pdl) e Caterina Dominici (Patt). Hanno voluto presenziare alla cerimonia anche il presidente degli artigiani Roberto De Laurentis e l’ex parlamentare Marco Boato. Significativa anche la presenza del dirigente generale della protezione civile Raffaele De Col insieme a decine di vigili del fuoco volontari di varie stazioni della valle: venticinque anni fa accorsero in migliaia da ogni parte del Trentino e oltre per estrarre i corpi delle vittime.
Ad inizio cerimonia il parroco di Tesero ha parlato di «tragedia che pesa ancora sulla coscienza di alcune persone», mentre monsignor Bressan ha ricordato la pericolosa «tendenza all’oblio, tipica dei nostri giorni, che spinge le persone a voler disperdere le ceneri dei propri cari: una pratica che non corrisponde alla tradizione del cattolicesimo».
Il tragico esempio di Stava è forse ciò che di più prezioso rimane alle generazioni future, l’insegnamento di un modello (e di un’etica) di sviluppo da non imitare, al pari di un approccio al territorio privo di regole e rispetto: «Quanto è avvenuto, le vite strappate di 268 persone - ha proseguito Bressan - è motivo ancora oggi di sofferenza e rammarico». E poi un monito: «Quando si mette mano alla natura occorre esaminare con cura l’impatto con l’ambiente e tutte le possibili conseguenze dell’intervento dell’uomo».
Il presidente della Fondazione «Stava 1985» Graziano Lucchi ha voluto ringraziare il presidente Dellai per la sua significativa presenza «che contribuisce - ha detto - a sanare la ferita aperta dopo la tragedia che ha visto la Provincia di Trento come responsabile civile nel processo». Poi ha estratto dalla tasca un foglio dando lettura di un messaggio significativo, quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Sempre vivo rimane il ricordo delle vittime. A tutti coloro che sono stati così duramente colpiti negli affetti familiari desidero esprimere sentimenti di commossa vicinanza. La grande forza di volontà dimostrata dalla popolazione di quella terra e lo sforzo delle istituzioni preposte alla ricostruzione - ha proseguito il messaggio - costituiscono positiva testimonianza di un impegno civile che merita di essere ancora una volta riconosciuto. La rievocazione della tragedia - si è chiuso il messaggio - deve anche richiamare alla comune attenzione e responsabilità di tutti i soggetti pubblici e privati l’assoluta esigenza di rafforzare la difesa del territorio».
Accompagnati dalle note della banda di Tesero, i presenti alla cerimonia sono saliti al piccolo cimitero delle vittime di Stava percorrendo le vie del paese in una processione composta e partecipata.
Giunti al cimitero la parola è tornata a monsignor Bressan che ha benedetto con l’acqua santa le tombe delle vittime della strage prima di sistemare una corona davanti al monumento dedicato alla catastrofe, dono della magnifica comunità di Fiemme e simbolo dello strazio patito dalla valle.
La cerimonia religiosa si è chiusa qui, ma non quelle civili. I rappresentanti di Tesero e Longarone (uniti da due tragedie simili) hanno deposto un mazzo di fiori di fronte al monumento dono delle popolazioni del Vajont presso la chiesetta «La Palanca» a Stava.
E sempre a Stava, ma nel centro di documentazione allestito nella sede della Fondazione, è stata inaugurata la mostra fotografica su memoria e rinascita. Tutto sotto la puntuale e accorta regia del presidente della Fondazione Graziano Lucchi che - in una pausa delle celebrazioni - ammette: «Sono felicissimo della grande partecipazione alle celebrazioni. Sono passati venticinque anni, è vero, ma per me è come se tutto fosse successo ieri».

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