Roberto Laino, il re del dialetto-rock che ama l'ironia
Da deejay a cantante e leader degli "Articolo 3ntino". "Ho iniziato per scherzo, ora credo che non smetterò mai. Abbiamo il gusto della provocazione, ma le minacce non me le aspettavo"
Aveva promesso a se stesso di smettere a trent'anni. Ma adesso, che ne ha cinquanta, Roberto Laino non vuole saperne di fermarsi. Canta sempre e con i suoi "Articolo 3ntino" è il re delle sagre di paese e dell'ironia cantata in dialetto. Ama provocare, ma soprattutto ride della «trentinità», anzi, della «trentinaggine».
Che poi è ovvio che Roberto Laino, classe 1966, non voglia smettere: ha ancora l'entusiasmo del ragazzino. Lo stesso entusiasmo che, a Radio Punto Blu, dove era deejay e intrattenitore, gli fece mettere in onda (correva il 1991) una canzone che aveva appena sfornato con Mario Cagol (il futuro SuperMario). «Conducevo con lui un programma umoristico e usammo la base strumentale di una hit con un testo in dialetto. Era un gioco. Doveva finire lì, dov'era iniziato». Vuol dire che è cominciato tutto così per scherzo, alla "veneranda età" di 25 anni? «Sì. Assolutamente. Dicemmo che era di un gruppo locale che però non esisteva. Solo che cominciarono a chiamarci in radio, a ridere, a chiedere di rimettere quella canzone per favore. E anche nei negozi di dischi c'erano clienti che chiedevano di questo complesso». E così i Kaneva Saund si materializzarono, lo scherzo diventò musica e ironia che non vuole smettere. «Per la verità Mario ha smesso quasi subito, dopo un paio d'anni, intraprendendo la bella carriera da attore che conoscete. Io ed altri amici invece abbiamo continuato inventando i TheRoldeg Stones».
Che poi Laino, diciamola tutta, era un particolare interprete del suo tempo: deejay che si trasforma in cantante. Un po' come Jovanotti, no? «Da bravo, popo, non facciamo paragoni!». No ai paragoni perché i Kaneva, i The Roldeg e poi gli Articolo 3ntino, sono il rock dialettale, quelli del circuito di seconda categoria, giusto? «Certo che è giusto! È il nostro spazio ed è perfetto. E poi meglio essere il re del tuo orticello che il signor nessuno del grande mondo, no?». Oltre a Jovanotti possiamo citare il "venessiàn" dei Pitura Freska e il loro "Papa nero"? «Ovvio. Loro avevano inventato un genere, ma facevano anche la musica. Noi ci siamo sempre appoggiati su grandi successi e abbiamo reinventato i testi in dialetto». Ma questa cosa di cantare in dialetto? Tutto per i Pitura Freska? «Macché. Ti faccio una confidenza: mia mamma non vuol essere citata, mai, ma da ragazza amava cantare le musiche di Gershwin dopo aver realizzato un suo personalissimo testo in dialetto trentino...». Ah, tutta colpa della mamma, dunque! Mamma trentina, anzi gardolota, e papà di Salerno. È dalle origini miste che Laino sforna la canzone "Son teron"? «No. Però io ho un vantaggio - ride Laino - nessuno mi può accusare di avercela con qualcuno».
E così prima, con i TheRoldeg, tanti tributi al costume tipico trentino di amare un buon bicchiere, il gusto di sbaraccare e far baldoria, poi soprattutto dal 2000 con l'avvento degli «Articolo 3ntino», testi ancor più graffianti. «Beh, è da allora che a me e a Renato Labalestra e Pietro Cappelletti (che siamo i tre componenti sempre presenti fin dalle origini) si aggiunge Sergio Tessadri, che oltre a essere un tastierista è il più prolifico nella scrittura dei testi: lì abbiamo fatto un salto e da quel momento ci siamo trovati regolarmente insieme a scrivere».
E il dialetto trentino non è che si sposi con il rock. Meglio quasi il napoletano... «Certo che il trentino non è una lingua da rock: è priva di termini tronchi, non sai che fatica...»
Ma intanto gli Articolo 3ntino sfoderano canzoni che giocano su un'ironia sempre più pungente. Corrosiva con i politici. Basti pensare a «Dame l'oroloi», ovviamente ispirata al caso Tretter. Oppure quella sui vitalizi. Forse fin troppo facile con i politici e con certi politici... «Con gli "spettacoli" di oggi ormai facilissimo. Ma è stato meno semplice quando abbiamo messo alla berlina i dipendenti provinciali, dopo che Dellai, allora presidente, aveva annunciato che ci sarebbe stata una stretta...». Ed è nata, sulla base della famosissima "Hold the line" dei Toto, la vostra "Col Dellai" (meglio: "Col Delai", perché è in dialetto): «...ogni mezz'ora una pausa caffè / g'ho sol 'na paura / tutto questo un bel dì finirà / col Delai / i privilegi scorderai / col Delai / aven trovà quel dal formai». Vabbè, che poi non è che Dellai sia stato proprio "quel dal formai", no? «Però ci sono state tante polemiche. I sindacati dei lavoratori della Provincia si erano offesi...». Ma intanto gli altri ridevano ascoltando la vostra canzone. «Certo. E poi io ero inattaccabile: mia mamma aveva lavorato in Provincia...». Riecco mamma, guarda te. E papà? «Lui è quello serio».
Ma le polemiche per la canzone sui provinciali è solo un assaggio, altre polemiche arriveranno. «Più che polemiche le chiamerei minacce» dice Laino aggrottando le ciglia. Esempio? «Il primo è da ridere. Il secondo meno». Prima ridiamo. «La nostra canzone "Tullio Pinter", la conosci? Avevamo scelto il cognome Pinter, piuttosto raro, col nome Tullio ormai decisamente in disuso. Senonché un giorno, a Lavarone, mi si para davanti un marcantonio, che dico, un gruista, un armadio. Mi dice: Ti set el cantante? Sat come me ciamo? E io: Noooooo, dai: Tullio Pinter! Sììì. E l'è dese ani che i me tol per giro. L'altro giorno ha ridest anca i carabinieri!». E com'è andata a finire? «Mi ha offerto da bere. Era simpaticissimo». E l'altra storia, quella che non fa ridere? «È successo con la canzone su Ettore, il maialino. Da alcuni animalisti estremisti è arrivato di tutto: offese, auguri di sciagure e anche qualche minaccia».
C'è un confine tra ironia e satira? «Un po' sì. Noi degli Articolo 3ntino siamo ironici, anche se a volte, l'ammetto, specie in passato, il gusto della provocazione, di dirla un po' grossa, ce l'avevamo. Abbiamo fatto anche "Il rock di capitan Schettino", ben sapendo che non si poteva scherzare su una tragedia, ma cercando di colpire una figura che rappresenta la pericolosissima arroganza di certi incapaci... Abbiamo avuto tanti complimenti "pelosi" con la canzone "Ho sposà una de l'Est" e anche qualche offesa. Ma è stato con il maialino Ettore che è successo quello che non mi aspettavo». Sei mai stato Charlie Hebdo? «No. Io credo che la satira sia per sua natura pesante. La satira è sempre scorretta. Ed è inutile e sbagliato difenderla solo se attacca l'Islam e poi rovesciare il giudizio se attacca qualcosa che tocca noi. Se vuoi chiedermi della vignetta sul terremoto, non ho problemi a dire che era tristemente una vignetta sbagliata e che non fa ridere. Ma la satira continuo a difenderla».
E la promessa di smettere di cantare a trent'anni? «Non vale più accidenti. Continuo a lavorare alla Margoni e il tempo libero lo dedico alla musica e agli Articolo 3ntino. Alla fine Pietro, Renato e Sergio sono diventati anche i migliori amici: è un circolo dal quale non ho intenzione di sganciarmi». E allora, avanti con il dialetto. Presto ci sarà perfino uno spettacolo teatrale a Zambana.