Primiero: acqua pulita con i raggi ultravioletti

Niente cloro, distributore hi-tech a Imer. I referendari: «Esperienza pilota»


Luca Marognoli


TRENTO. Arriva l'acqua a chilometro zero. Quella «del sindaco», imbottigliata (dal cittadino) alla fonte. A Imer, in Primiero, i residenti presto potranno ritirare la loro acqua, minerale o naturale, da un distributore collocato accanto alla famiglia cooperativa. Niente cloro, la depurazione verrà garantità da un apparecchio a raggi ultravioletti. Un progetto pilota di autogestione dei beni comuni. Qualcuno dirà che è la scoperta dell'"acqua" calda. Basterebbe raggiungere la prima fontana e riempire le proprie bottiglie lì. Ma il discorso è diverso. Intanto, l'acqua della rete pubblica è resa potabile con il cloro, mentre con i raggi Uv la chimica non serve. Poi con questo sistema si può fare a meno di andare a comprare bottiglie di minerale trasportate da chissà dove con costi ambientali (gli imballaggi e i gas di scarico dei camion) altrimenti eliminabili in modo "consapevole". L'unico costo saranno i 5 centesimi da inserire nel distributore automatico. Tutto è nato da un ragionamenmto legato al referendum: «Noi rivendichiamo il controllo pubblico dell'acqua, ma dobbiamo anche chiederci che qualità abbia quella che beviamo tutti i giorni», spiega Daniele Gubert, del comitato Acqua bene comune del Primiero. «Questa è la fase due, il passo successivo alla garanzia del controllo dei comuni sull'acqua. Una volta raggiunto il primo, le comunità locali potranno fare cose belle come questa. I messaggi sono molteplici: riconoscere che l'acqua locale è buona, eliminare gli imballaggi e il consumo di bottiglie riciclando quelle già esistenti, evitare la depurazione con il cloro ricorrendo a metodiche non chimiche». Interessante anche il coinvolgimento della famiglia cooperativa, che ha dimostrato di credere nella valorizzazione delle risorse locali: il distributore di acqua potabile è infatti collocato all'esterno del negozio ma in un andito di sua proprietà, sul fronte stradale. La vendita di minerale confezionata subirà un inevitabile calo, ma verrà garantito un servizio in più alla collettività. Francesca Caprini, referente del comitato referendario trentino, sottolinea l'importanza anche simbolica dell'iniziativa: «La cosa più importante è l'autonomia che dimostra una comunità e lo spostamento del paradigma dei valori: la cooperativa ci perde nell'immediato ma fa un investimento sul futuro. Comunque, non è che noi attivisti facciamo ragionamenti scevri da aspetti economici, ma guardiamo alle ricadute in prospettiva sulla collettività. Dall'altra parte, con queste azioni si dimostra la capacità di intraprendenza e autonomia delle comunità trentine, che una volta poste in condizioni di agire riescono a mettere in campo conoscenza, consapevolezza e creatività». La portavoce provinciale parla di attivismo virtuoso, che parte dal basso. E che si vorrebbe estendere al resto del territorio. «Guardiamo a quella del Primiero come ad un'esperienza pilota - afferma -, ecosostenibile perché c'è una riduzione del cloro ed educativo nei confronti della popolazione, che non compra più la minerale e si rende conto che l'acqua è un bene da non dare per scontato. Un'esperienza che ci mette in una dimensione di responsabilità». Il Primiero ha visto sbocciare numerose iniziative: «Sono stati coinvolti gli anziani nel pitturare le bandiere per l'acqua e la radio locale nella promozione del referendum. C'è, insomma, una attenzione trasversale in difesa dell'acqua». Si parte dal basso, ma con l'obiettivo di arrivare in alto, all'abrogazione della legge vigente. E i comitati hanno le idee chiare. «I movimenti vengono tacciati di essere naif e ideologicio, ma è falso», continua Caprini. «Il secondo quesito chiede di abrogare il full recovery cost, cioè la parte della bolletta - minimo del 7%, ma mediamente del 15-20% - che obbligatoriamente va al socio privato, senza essere reinvestita sulla collettività. La proposta del Forum nazionale è che sia inserita una tariffazione equa che permetta di recuperare i 60 miliardi di euro che servono nei prossimi 20 anni per sistemare gli acquedotti colabrodo, ridotti così perché nell'ultimo decennio gli investimenti sono diminuiti di due terzi».

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