Pd, il disagio della sinistra «Così è Renzi che rompe»

Dorigatti: «D’Alema? Vale più del 10%». Nicoletti e Manica: «La scissione va scongiurata». Il segretario Gilmozzi: «Nessuno ha più consenso di Matteo»


di Chiara Bert


TRENTO. Dice Bruno Dorigatti, uno che nel Pd renziano si trova a disagio da anni: «La storia della sinistra è piena di scissioni e questa è stata una delle sue debolezze. Ma D’Alema ha delle ragioni, se fossi in Renzi starei attento a sottovalutare il disagio della sinistra del partito, a non ascoltarlo. Se vuole mettere la minoranza all’angolo, allora chi fa la scissione è lui».

I venti di rottura romani soffiano su un Pd trentino che certo non vive una fase di grande salute, basti guardare le ultimissime vicende del Pd roveretano, dove dopo poco più di un anno il segretario Roberto Pallanch è pronto a gettare la spugna: «Sono rimaste le stesse dinamiche, le stesse divisioni, così non ci sono le condizioni per andare avanti». Nel gruppo provinciale da tempo ogni consigliere fa vita a sè, dopo la batosta al referendum c’è perfino chi ha chiesto l’intervento dei garanti del partito per sanzionare chi si è espresso per il no. Il congresso di maggio ha ricompattato per un po’ una larga maggioranza attorno alla candidatura di Italo Gilmozzi, ma il clima oggi è di fiacca e la leadership del segretario costantemente messa in discussione o indebolita dalle uscite dei singoli.

Nessun vero scontro politico, per altro. Ma è vero che l’ala renziana ha perso lo smalto dei giorni migliori, quando si pensava che il segretario-premier potesse trainare il partito verso il traguardo del 40%. «Ma io non mi aspetto defezioni», assicura Italo Gilmozzi, «non mi immagino gente come Dorigatti e Violetta Plotegher che lasciano il Pd. Li so critici su diverse scelte del Pd e su Renzi ma convinti di lavorare per questo partito». «Le scissioni - incalza il segretario - hanno sempre portato male a chi le provoca e a chi le subisce». D’Alema? «Io ci ho parlato una sola volta a pranzo, quando ero traghettatore, non ho un giudizio umano. Ma per la storia che ha avuto in questo partito avrebbe dovuto dare l’esempio e rispettare le decisioni prese dalla maggioranza». Bersani? «Gli aspetti personali dovrebbero passare in secondo piano rispetto agli interessi del Pd e del Paese». E il futuro di Renzi nel Pd? «Io non vedo nel Pd qualcuno che abbia più consenso di lui, chi era all’assemblea di Rimini ne è uscito con un grande entusiasmo. Renzi è una grande risorsa, non un problema. E lui stesso ha detto che il congresso si farà».

Ma a sinistra chi invoca il congresso lo fa perché pensa che sia arrivato il momento di decretare la fine dell’era renziana: «Dopo la pesante sconfitta al referendum, qualsiasi partito avrebbe messo in cantiere subito una discussione forte, molti del Pd hanno votato no», incalza Dorigatti. «C’è un Pd che non rispecchia più i valori e le ragioni per cui è nato, che si è allontanato dal mondo del lavoro, della scuola, dei più deboli. Già oggi Renzi non ha più il 40% con tutto il Pd dietro, non so dove pensi di andare senza Bersani, D’Alema e la sinistra del partito». Il filo diretto di Dorigatti è con esponenti dell’area bersaniana: «Loro sono contrari alla scissione - assicura - ma se il segretario si rifiuta di ascoltare e di dialogare, allora chi fa la scissione non è Bersani. E il segretario faccia attenzione - avverte il presidente del consiglio provinciale - perché D’Alema non è da sottovalutare e può valore più del 10% che oggi qualcuno gli attribuisce. Può essere il punto di approdo per una vasta area dell’elettorato». Io? «Non sono in grado di dire adesso cosa succederà, si faccia un congresso, dove votano gli iscritti e solo loro», è il richiamo di Dorigatti, «e poi ognuno farà le sue scelte. Io non ho mai promosso correnti ma, sia chiaro, non mi sono iscritto al partito di Renzi e Berlusconi...».

Chi confessa di fare fatica «a immaginare un Pd che si spacca» è il capogruppo provinciale Alessio Manica, uno che renziano non è mai stato e al referendum ha votato sì più per dovere di partito che per convinzione. «Scissione per andare dove?», si chiede. E risponde: «Spenderei tutte le energie per evitarla». «Non sono dalemiano, ho grande stima di Bersani, sono convinto anch’io che oggi sia poco responsabile andare al voto a tutti i costi per poi ritrovarsi senza un vincitore. Un governo oggi c’è, non va fatto morire per forza». Anche Manica esorta ad andare a congresso: «Serve un chiarimento, i tempi accelerati invece producono accordi e spartizioni». E avverte: «Le primarie non sono un congresso, a me personalmente fanno venire l’orticaria. Poi - è chiaro - se perdi il congresso non prendi la palla e te ne vai... Ma va riequilibrato il rapporto tra il partito e il leader, che non può più essere quello che abbiamo conosciuto con Renzi». Anche il deputato Michele Nicoletti condivide che «i toni assunti dal dibattito rendono indispensabile un chiarimento, con un congresso o primarie se ci fossero elezioni anticipate». «L’importante - avverte – è farlo con senso di responsabilità. Il processo del Pd è stato molto lungo, oggi una scissione sarebbe assurda, va scongiurata in ogni modo, tanto più guardando a com’è messa l’area progressista in Europa».













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