Padre Butterini trasferito a Terzolas. "Obbedisco a fatica"

Decisione dell'Ordine dei Cappuccini. "Non ho avuto spiegazioni. Ma non vado a seppellirmi: sarà una sfida nuova"


Chiara Bert


TRENTO. Ordine di trasferimento. Padre Giorgio Butterini, 73 anni, una delle voci più conosciute e anticonformiste della Chiesa trentina, da settembre lascia Trento e la badia di San Lorenzo, dove era priore da tre anni: destinazione il convento di Terzolas, in val di Sole. La decisione è stata presa dall’Ordine dei Cappuccini, che ogni tre anni redistribuisce gli incarichi. Una scelta che ha colto di sorpresa lo stesso Butterini: «Non mi hanno dato spiegazioni - dice - io obbedisco, ma lo faccio con fatica».

Padre Butterini, con che missione viene mandato a Terzolas?
Nessun compito preciso. Al convento dall’anno scorso ci sono tre frati di Schio, li ho appena sentiti. Vedremo.
Lei che spiegazione si è dato di questo trasferimento? Lo vive come un confino?
Ci ho pensato. Difficilmente si viene spostati dopo soli tre anni. A 73 anni si fa fatica a ricostruire un mondo, e il mio mondo è qui a Trento. Tagliare per ricostruire è difficile. Lo ho detto ai miei superiori, non mi hanno dato spiegazioni e questa è la cosa più dura da accettare. Io sono obbligato per obbedienza. Qualcuno mi ha fatto notare che potrò avere una maggiore libertà, è vero. Sarà una sfida, e le sfide fanno anche paura.
Reazioni?
C’è chi mi dice: sei un riferimento, hai portato un nuovo modo di celebrare, perché ti mandano via? Ma per altri non andavo bene, non sono uno per la pietà popolare, per le corone... E questi hanno reagito. Ma non so quanto questa reazione possa aver pesato.
Ha già pensato a cosa farà a Terzolas?
Non ci ho ancora pensato, di sicuro non vado a seppellirmi. Qualcosa bisognerà inventarsi.
Sarà un addio definitivo a Trento?
A Trento ho molti impegni, la Comunità di base di San Francesco Saverio, che seguo dal 1977, la formazione dei fidanzati, la scuola della terza età, e poi tante relazioni. Manterrò la scuola, due ore a settimana, con il corso di Bibbia e cinema che seguo insieme a Piergiorgio Rauzi.
Come vede la Chiesa trentina?
Molto stanca, mi sembra si tirino avanti le cose che ci sono. Si è un po’ ritirato anche don Marcello Farina, mancano gli stimoli. Ci sono quelli del papa, che hanno molta presa nella società ma faticano a entrare nel mondo clericale.
Perché, secondo lei?
La Chiesa è un’istituzione e spesso ha paura delle rotture. Si fanno analisi ma non si incide. Il vicario generale fa interventi molto belli, ma finiscono lì. E le chiese si svuotano, tanti si sentono ai margini. Io ci provo, con le prediche, le riflessioni, le confessioni. La gente ha bisogno di sentirsi accolta.
Con il vescovo Bressan i rapporti sono stati difficili, l’ha rimproverata per le celebrazioni “fuori dalle regole” e vi siete scontrati sulla colletta della Comunità di San Francesco Saverio per la moschea.
Con la colletta per la moschea siamo diventati un caso nazionale e siamo finiti anche su giornali stranieri. Non mi sono assolutamente mai pentito. Anche se a livello personale è stato un passaggio faticoso.













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