Omicidio di San Silvestro, sedici anni a Ghesla

L’imbianchino che ha massacrato a bottigliate la fidanzata colombiana condannato ieri mattina. Deve pagare 230 mila euro, ma non ha un soldo


di Ubaldo Cordellini


TRENTO. Non c'era, Claudio Ghesla, quando il giudice Michele Maria Benini ha letto la sentenza con la quale lo condannava per l'omicidio di Sara Micolta Marques. Sedici anni di reclusione più un risarcimento provvisionale di 230 mila euro ai parenti della ragazza, il figlio di undici anni, l'anziana madre e quattro tra fratelli e sorelli. Ad ascoltare la sentenza, oltre al pubblico ministero Alessia Silvi e all'avvocato difensore, Mirella Cereghini, c'era solo la sorella di Sara, Dolores, con lei l'avvocato di parte civile Andrea Lovato. Lo avevano chiamato il delitto di Capodanno. La sera di san Silvestro dell'anno scorso in un appartamento al secondo piano del numero civico 108 di via Brennero, Ghesla, 50 anni, imbianchino di Calceranica, aveva massacrato a bottigliate la povera Sara, una ragazza colombiana di 28 anni fuggita dal Sudamerica per guadagnare i soldi con cui mantenere il figlioletto e la mamma. Tra Ghesla e la ragazza c'era una relazione che, tra alti e bassi, andava avanti da sei mesi. Quella sera dovevano cenare insieme, ma tra i due scoppiò un litigio, Ghesla si sentì umiliato e deriso e iniziò a colpire la ragazza al volto con una bottiglia piena di spumante. La colpì una decina di volte, soprattutto al volto, poi scappò. Sara morì poco dopo. Ghesla venne arrestato quella notte stessa, dopo che gli uomini della squadra mobile l'attirarono con una scusa davanti a un locale di Trento nord, noto ritrovo di sudamericani. Aveva già fatto in tempo a disfarsi dei vestiti imbrattati di sangue e dell'arma del delitto gettandoli nei campi. Ieri mattina si è tenuta l'ultima udienza del giudizio abbreviato.

Il giudice Benini lo ha ritenuto responsabile di omicidio volontario e gli ha concesso le attenuanti generiche che ha ritenuto equivalenti alle aggravanti contestate dal pm Silvi per aver agito con particolare crudeltà e per futili in motivi. Il giudice è partito dalla pena di 24 anni, per l’omicidio il minimo è di 21 anni, alla quale ha tolto lo sconto di un terzo previsto per la scelta del rito abbreviato. Ed ecco così che è giunto alla pena finale di 16 anni. L'avvocato di Ghesla ha sostenuto la tesi dell'omicidio preterintenzionale. In altre parole, il legale ha detto che Ghesla non voleva uccidere la ragazza, ma ha reagito in maniera molto violenta alle sue provocazioni. Il giudice non ha, però, ritenuto credibile questa ricostruzione. Contro l'imbianchino di Calceranica innanzitutto le modalità del fatto. L'uomo la notte stessa dell'arresto aveva confessato l'omicidio aveva detto che Sara l'aveva preso in giro: “Mi ha deriso e umiliato. Diceva che io ero innamorato perso di lei, che le avevo già dato un sacco di soldi e che, se avesse voluto, avrei continuato. Così non ci ho visto più e l'ho colpita”, aveva detto quella sera prima di chiudersi nel mutismo. Il giudice, però non ha creduto alla tesi del raptus o della reazione violenta a una provocazione. In primo luogo contro questa ricostruzione c'è il numero dei colpi inferto alla vittima. Ghesla ha colpito la donna prima con una bottiglia di liquore che si ruppe. Questo non lo fermò. Afferrò una bottiglia di spumante e continuò a colpire la ragazza alla testa. In tutto undici o dodici colpi violentissimi che devastarono il volto della ragazza. Non solo. Dopo aver sfogato la sua rabbia, Ghesla fuggì e non pensò minimamente a soccorrere la donna che sosteneva di aver amato. In auto lo attendeva un amico e lui portò con sé gli abiti sporchi di sangue e la bottiglia dei quali si disfece nella campagne di Ravina. Tutti elementi, questi, che contrastano con la tesi di un'esplosione di rabbia. Il giudice ha anche condannato l'imbianchino al risarcimento danni ai parenti della ragazza. Ha liquidato 65 mila euro alla mamma di Sara, altri 65 mila euro al figlio di 11 anni e 25 mila euro a testa ai quattro fratelli. In tutto, 230 mila euro.

Soldi che, però, difficilmente la famiglia di sara vedrà mai. Infatti Ghesla era praticamente nullatenente. E' separato dalla moglie, viveva in un garage di Madonna bianca e lavorava in nero. Per questo l'avvocato Lovato ha spiegato che la parte civile è pronta a chiedere il risarcimento alla Presidenza del Consiglio. Infatti, l'Italia è già stata condannata più volte perché nel nostro ordinamento non è previsto un fondo di garanzia a favore delle vittime di questo tipo di reati.

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