LA NOSTRA CAMPAGNA

Messner: "Bisogna chiudere i passi 5-6 ore al giorno"

Il re degli Ottomila: "Nella fascia vietata ai motori spazio a chi va a piedi o in bici. In alternativa i bus-navetta"


Antonella Mattioli


BOLZANO. «Bisogna chiudere i passi dolomitici almeno 5-6 ore al giorno». Dopo Luca Mercalli, noto volto televisivo ma soprattutto uno dei massimi climatologi ed esperti di meteorologia e Mauro Corona, oggi è Reinhold Messner, il primo uomo al mondo ad aver scalato i 14 Ottomila, ad entrare nel dibattito, aperto da Trentino e Alto Adige, sull'utilizzo delle strade che salgono ai passi all'ombra delle Dolomiti, montagne famose in tutto il mondo da sempre e diventate attrazione mondiale da quando sono patrimonio dell'Unesco: non c'è tour operator che non inserisca il giro dei passi nel programma. Macchine, pullman gran turismo, e poi moto e bici: in estate su quelle strade è il caos, tradotto significa un rumore spacca timpani che arriva fin sulle cime e inquinamento. Ad ogni estate, ormai da anni, si discute di possibili soluzioni: c'è chi spinge per l'introduzione di un ticket che valorizzerebbe i passi - perché solo ciò che si paga ha un valore - ma non ridurrebbe il caos, anzi molto probabilmente lo aumenterebbe; e chi invece preme per la chiusura, in certe ore del giorno, sull'esempio di quanto si è fatto domenica scorsa in occasione della Maratona dles Dolomites e ancora prima con il Bike day dove sono stati chiusi i passi Campolongo, Pordoi, Sella, Gardena; iniziativa analoga, l'ultima domenica di giugno, con la chiusura del passo delle Erbe, a fine agosto toccherà allo Stelvio.

«È vero che se ne parla da anni - ammette Messner - ma adesso è arrivato il momento di fare. Per me la soluzione ideale è chiudere i passi a macchine e moto in una determinata fascia oraria: un'idea potrebbe essere dalle 10 di mattina alle prime ore del pomeriggio. Questo consentirebbe a chi vuole comunque salire in macchina o in moto di farlo ma fino ad una determinata ora, poi stop ai motori e largo a chi va in bici o a piedi. Ad eccezione ovviamente di chi gestisce i rifugi e delle guide».

Bello, ma non tutti possono permettersi di andare a piedi o in bici.

«Chi non può farlo, ci andrà con gli impianti. Scusi all'Alpe di Siusi non funziona così? E quando non ci sono gli impianti, si metterà un bus-navetta. Un servizio simile funziona anche a Castel Juwal. Va benissimo e nessuno si lamenta. Anzi, serve a valorizzare un luogo. A far sì che le persone si chiedano dove vanno e perché quel determinato posto è off limits, in certe fasce orarie, per i motori. Solo se andiamo a piedi o in bici, ovvero con un ritmo lento, possiamo veramente apprezzare ciò che ci circonda. Altrimenti è tutta una corsa, al termine della quale non ci rimane niente. Per non parlare del rumore: vai nel gruppo del Sella e senti il rumore delle moto che affrontano i tornanti del passo. Un incubo per chi s'illudeva di immergersi nel silenzio delle montagne ».

Molti ristoratori e operatori turistici però sono contrari: non vogliono neppur sentir parlare di chiusura dei passi, è già un problema far loro accettare due giorni all'anno.

«Sbagliano. Ma siccome so che ci sono queste resistenze, l'iniziativa deve partire dalle Province di Bolzano, Trento e Belluno».

I ristoratori temono di veder ridotti i loro affari, perché chi arriva in moto o in auto spende in genere di più di chi arriva in bici o a piedi.

«Non è così. Il turismo in bicicletta è un turismo di qualità. Perché se è vero che sui passi ci si va in bicicletta, nelle vallate limitrofe ci si arriva con la macchina. Si dorme negli alberghi, si fanno acquisti nei negozi. La dimostrazione che quello che dico è vero, è il successo enorme che riscuote ogni anno la Maratona dles Dolomites. Ci sono migliaia di appassionati che arrivano da ogni parte del mondo e prima di scalare i passi si fermano negli alberghi».

L'assessore Theiner sta pensando all'introduzione di un pedaggio sul passo dello Stelvio: lei cosa ne pensa?

«In quel caso il pedaggio potrebbe anche starci perché l'ipotesi allo studio è quella di creare una sorta di percorso museale lungo i tornanti che portano al passo. Il ticket però - lo dimostrano le iniziative promosse in altre parti del mondo - non serve a ridurre traffico e inquinamento. Le cose a pagamento diventano automaticamente interessanti e quindi - costi quel che costi - si vuole andarci».













Scuola & Ricerca

In primo piano