Le quattro vite di Faggin inventore del touch screen 

A Povo. Sala piena (solo di maschi) e c’è anche chi si è portato una scheda madre da autografare Il 78enne vicentino è nella storia della tecnologia: «Avevo fama e ricchezza ma non ero felice»


JACOPO STRAPPARAVA


Trento. Mezz’ora prima dell’inizio, e già non c’è più un posto libero. La gente si siede per terra, molti restano in piedi. Qualcuno si porta dietro una sedia, raccattata chissà dove. E sì che la facoltà di scienze di Povo, ieri alle 16.30, gli aveva riservato l’aula magna apposta.

Federico Faggin, 78 anni, l’inventore del touch screen, entra in sala accolto da duecentocinquanta persone. Sono ragazzi, prof e appassionati di informatica (sono quasi tutti maschi). Qualcuno ha sotto il braccio Silicio, il suo libro. Un signore si è portato da casa una vecchia scheda madre per farsela autografare.

Faggin, accento vicentino, capelli bianchi, cravatta rossa, non è un divo, è un pezzo di storia. Ha conosciuto Steve Jobs e Bill Gates. Ha svariate lauree honoris causa. È – senza esagerazioni – il padre della rivoluzione tecnologica di oggi. Agli studenti di Povo – cui i prof hanno promesso un credito formativo solo per il fatto di essere qui a sentirlo – parla di molte cose. Dice, per esempio, che i computer non saranno mai più intelligenti dell’uomo («Ci battono solo per le operazioni meccaniche, ma non sapranno mai cosa sono l’empatia, il coraggio, l’intuizione, l’immaginazione, la gioia, l’amore e il libero arbitrio») e che l’auto che si guida da sola è il futuro. Ma quella più interessante, forse, è la storia della sua vita. Anzi, delle sue quattro vite, come dice lui.

Prima vita: studente. Sfollato a Isola Vicentina durante la guerra. Da bambino costruiva aeromodellini («Lo faccio tuttora»). Il padre è prof di filosofia al liceo Classico, lo vuole umanista, ma lui si impunta e va all’Istituto tecnico. Lavora alla Olivetti, poi si laurea in fisica a Padova (110 e lode).

Seconda vita: inventore. Si sposa e va in America, a guidare gli ingegneri della Intel. «Lavoravo 80 ore a settimana: avrò creato almeno una trentina di prodotti, non scherzo»

Terza vita: imprenditore. I suoi dirigenti gli danno poco credito e allora lui fonda la Zilog, un’azienda tutta sua. «Un problema tecnologico è completamente specificato, uno aziendale no: deve pensare a come scegliere i finanziatori, se comprare o no, se assumere o no: la ragione non basta, ho sviluppato l’intuizione»

Quarta vita: pensatore. «Avevo tutto. Famiglia, ricchezza, fama. Ma non ero contento». Poi, «un’esperienza di natura psico-spirituale mi ha portato a vedermi come parte del mondo che osserva sé stesso». Silenzio. I ragazzi rimangono un po’ perplessi. In che senso? Negli ultimi anni, spiega, cerca di «studiare la coscienza in modo scientifico», parla di monadi di Leibnitz, quantistica della vita, ontologia. Pochi, in sala, riescono a stargli dietro. A sentirlo, sembra una via di mezzo tra un guru indiano e un filosofo dell’antica Grecia. Che suo padre, in fin dei conti, avesse ragione?













Scuola & Ricerca

In primo piano

L’ultimo saluto

A Miola di Piné l’addio commosso a don Vittorio Cristelli

Una folla al funerale del prete giornalista che ha segnato un’epoca con la sua direzione di “Vita Trentina”. Il vescovo Tisi: «Non sempre la Chiesa ha saputo cogliere le sue provocazioni»

IL LUTTO. Addio a don Cristelli: il prete “militante”
I GIORNALISTI. Vita trentina: «Fede granitica e passione per l'uomo, soprattutto per gli ultimi»
IL SINDACO. Ianeselli: «Giornalista dalla schiena dritta, amico dei poveri e degli ultimi»