L'autonomia non riempie la piazza

Un migliaio con striscioni e cartelli: orgoglio tirolese e voglia di Euregio


Paolo Morando


TRENTO. Quando alle 16.55 tutto finisce, quando Lorenzo Baratter saluta e parte la musica, in pochi minuti la piazza si svuota. Merito della disciplina della gente trentina, certo. Ma la rapidità in cui avviene dà la misura di ciò che è stata l'adunata: tutt'altro che oceanica. Meno di mille, sette-ottocento, con le prime file accalcate sotto al palco. Mentre attorno, per spostarsi, non era necessario sgomitare. Solo pochi minuti prima delle 14 piazza Battisti inizia a riempirsi: da via del Simonino ecco il piccolo corteo dei manifestanti della Valsugana. Ma anche dopo il loro arrivo, gli annunciati cartelli con i nomi dei comuni si contano in appena un paio di decine: Caderzone, Faedo, Aldeno, Lavis, S. Orsola, Bedollo, Moena, Levico Terme, Cembra, Pinzolo, Bleggio Superiore...

Ci sono anche i veneti Pedemonte e Casotto. Ma, a giudicare dai cartelli, nessuno dalla valle di Non, tradizionale zoccolo duro autonomista. Così come dal Trentino meridionale, con l'esclusione di un "Dro è qui" e di Arco, da dove peraltro i manifestanti si sono portati dietro uno striscione colossale («Arco la roccaforte dell'Euregio tirolese»). Curiosamente, ci sono i cartelli di diversi sobborghi cittadini. E stridono, di fronte a quello che recita "Autonomia sì, sciovinismo urbano no". Pochissimi Lederhosen, appena un paio di grembiuli azzurri, i classici Schürzen tirolesi. E basta probabilmente una sola mano per contare i cappelli piumati.

C'è chi inalbera un "Da Sevignano a piedi", chi "I nostri padri hanno dato la vita per l'autonomia, noi la difenderemo". E poi tante bandiere con i colori ladini, il gruppetto mocheno a proclamare orgogliosamente "I aa pin do" (anch'io sono qui). Ma il colpo d'occhio non è quello atteso. A peggiorare le cose, un'amplificazione insufficiente: impossibile da metà piazza in giù seguire gli interventi. Ma chi c'è, non se ne lamenta: la giornata è bella, il sole splende. Si fa crocchio con gli amici, si discute, si sorride e ci si saluta. E si battono le mani.

L'applausometro parla chiaro: il vincitore è Paolo Toniolatti del Circolo Gaismayr. Voce tuonante, piglio da oratore consumato, scatena subito l'entusiasmo con un vigoroso «Siamo forti, siamo belli». Che fa il paio con il richiamo ai valori del lavoro e della sobrietà «contro l'arroganza del potere» e con una tirata contro gli accademici «dalla spuzza sotto il naso che ci vorrebbero in un recinto». Ma tanti applausi li riceve anche Alberto Baldessari dei comitati "Torniamo in Trentino" che raduna comuni come il bresciano Valvestino e appunto il vicentino Pedemonte. Bene anche Enrico Bolognani, primo "testimonial", che parla del Trentino come terra «di etnia italiana in ambito tedesco fin dall'alto Medioevo».

E al netto della claque fassana, il pubblico ascolta senza fiatare anche il puntuto intervento di Maria Piccolin. Che ammette: ora la politica ci coccola, noi ladini, ma non sempre è stato così. E aggiunge: l'autonomia del Trentino è di lunga data, discende dalle antiche Regole. E conclude con nettezza: «Guai a pensare che in nome dell'autonomia ora tutti i trentini devono diventare ladini, o mocheni, o cimbri». E in prima fila, dove resterà per l'intero pomeriggio, la consigliere provinciale del Patt Caterina Dominici tutta in rosso vestita scalpita furiosamente, imbracciando il suo «Viva l'autonomia che Roma vuole portarci via - Difendiamo il Trentino».

Un paio di metri più in là, c'è Walter Kaswalder, sindaco di Vigolo Vattaro, Patt pure lui. Tanto per chiarire per chi battono i cuori sotto al palco. Chissà se mentre parla, mentre propone una lettura storica della vicenda autonomistica, la Piccolin si accorge di quel maxicartello proprio davanti a lei: «Buon governo, buona amministrazione, vigili del fuoco, volontariato, cooperazione, catasto, corpi bandistici, eccetera... Tutto questo noi lo avevamo già 100 anni fa». E fin qui tutto bene. Poi la chiusa, d'altri tempi: «Però 100 anni fa qua non era Italia». Dicono molto, i cartelli di questo 10 marzo. E per questo è bene citarli diffusamente: perché spiegano meglio di ogni altra cosa la "pancia" di un certo Trentino. Che a qualcuno può non piacere, ma con il quale si deve continuare a fare i conti. Perché tra l'altro fa proseliti anche al di fuori dei confini. A fondo piazza, per accoglierne le dimensioni extralarge, ecco gli striscioni secessionisti "Via dal Veneto - Belluno autonoma subito» e "Tre province autonome, una regione dolomitica". E mentre Luciano Imperadori invita i giovani a darsi da fare, l'occhio corre a un "Trentini su co' le recie - Asar 15-9-'46". Mentre il presidente delle Asuc Roberto Giovannini ripercorre le tappe dell'autogestione territoriale nei secoli del Principato vescovile, sventola alto un "Wir sind ein Volk - Euro Region Tirol von Kufstein bis Borghetto", con traduzione italiana per i non avvertiti.

E mentre Renzo Tommasi glorifica don Guetti, ecco sventolare un "Terzo Statuto? Autonomia integrale per costruire la nostra Euregio Tirolo". E un po' defilato, l'ex presidente della Provincia Carlo Andreotti commenta: «Oggi manca l'anima, non vedo entusiasmo. Chiedono l'Euregio? Ma se c'è da vent'anni...». Sono ormai già passate le 16, la piazza si è fatta più larga nel contenere i manifestanti. I relatori si susseguono con interventi sempre più corti: i tempi stringono, bisogna tagliare. Applausi sinceri per Jorge Lazzeri del Sordo, figlio di emigrati trentini in Messico, e per la russa Nadia Kouliatina, trentina acquisita. Poi ecco Diego Mosna, che pure fa imbufalire la Dominici (vedi a fianco). E finalmente l'ex presidente di Confindustria Ilaria Vescovi: attenti, avverte, l'autonomia è uno strumento portentoso, ma non dimentichiamo di imparare da chi fa meglio di noi. Apritevi al mondo, dice alla piazza. Che applaude comunque. Chiude Giuseppe Ferrandi, definito un po' improvvidamente dal presentatore Gabriele Buselli «ideologo della nuova autonomia».

Si complimenta con i promotori della giornata, il direttore del Museo storico, ma pure lui avverte: «Spero che gli eccessi folkloristici non indeboliscano il messaggio lanciato da questa piazza». E anche: «Rifugiarsi nel passato sarebbe solo un'operazione consolatoria». Infine Lorenzo Baratter, l'anima dell'adunata. Ed è un'ovazione. «Questa è una giornata memorabile, l'autonomia senza sogni non ha futuro», dice, spiegando che «questa piazza vuole raccontare l'autonomia all'Italia». Più in là, il segretario del Patt Ugo Rossi saluta tutti: «Se Lorenzo potrà essere un buon consigliere provinciale? Penso di sì».













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