Iron: ieri abbandonato, oggi meraviglia

Il villaggio colpito dalla peste nel Seicento è rimasto intatto da allora, un luogo incantato premiato dagli italiani


di Graziano Riccadonna


RAGOLI. Tra le 4500 candidature delle “Meraviglie d’Italia”, Iron ha avuto il suo riconoscimento pochi giorni prima di Natale. Dunque può fregiarsi di questo appellativo, che lo definisce una meraviglia... italiana. Ma forse non tutti conoscono la storia di questo paese, isolato e nascosto da una fitta vegetazione, che si apre ad anfiteatro i n una conca ai piedi del Monte Iron, appunto.

Iron è il tipico paese giudicariese di mezza montagna, posto a 871 metri d'altezza sul pianoro di terrazzi coltivati abbandonati. Il villaggio ha mantenuto la struttura tradizionale con l'inserimento di numerosi elementi alpini nella struttura dello stesso paese e dell'architettura delle abitazioni.

Pregevole la soprastante chiesetta medioevale, dedicata a San Giacomo Maggiore, che sorge alquanto discosta rispetto al villaggio, su un'altura panoramica, e conserva tracce di affreschi gotici sotto l'intonaco: ricostruita nel 1768, è stata oggetto negli anni sessanta del secolo scorso di un clamoroso furto, allorquando i ladri asportarono le statue del trittico ligneo cinquecentesco posto sull'altare maggiore.

Dopo la peste del Seicento, che avrebbe ucciso tutti i suoi abitanti, il villaggio è stato abbandonato. Da tutti, tranne uno: costui avrebbe urlato il suo testamento dal Dos dei Copi al notaio incaricato di raccogliere le sue ultime volontà, appostato a valle per evitare il contagio.

La peste. Anche Ragoli e il villaggio di Iron come le ville vicine delle Giudicarie sono interessate ai morbi secolari storici: specialmente la peste nel 1630. La peste “manzoniana” del Seicento, ricordata ne “I Promessi Sposi”, è l’ultima fiammata pestilenziale a colpire l’intera Europa tra il 1629 e il 1636.

Come scrive Alberto Folgheraiter nel suo “I Dannati della peste. Tre secoli di stragi in Trentino (1348-1636), 1998, “Violenti focolai divampano anche successivamente, ma è proprio la peste del 1630 a compiere localmente una strage di abitanti, anche se la documentazione al riguardo è piuttosto carente. Le stesse fonti demografiche della zona sembrano tacere su un fenomeno così rilevante e che tanti vuoti causò a Iron e dintorni...”

L'ultimo superstite. “La peste 1630.... Gettò abbasso il suo testamento accartocciato attorno a un sasso”. Questo il titolo del grande affresco (mq. 3,96) eseguito a Ragoli sulla casa di Paride Giovanella dall'artista Ester Cardani venti anni fa, nel 1993. L'affresco, vivace nei toni rosso-verdi che accentuano la drammaticità del rilevante evento storico, bene illustra la scena dell'uomo che getta il testamento a valle, mentre assiste San Rocco, il protettore, a simboleggiare la fede cristiana nell'aldilà. La calamità che colpì la zona è documentata da Guido Boni ne “La peste nelle Giudicarie” del 1922 nonché nello studio del compianto Paolino Scalfi “Preore in Giudicarie”, 1° volume. Secondo le testimonianze orali, l'ultimo superstite, dopo aver chiesto per alcuni giorni ad alta voce, dall'alto di una roccia di Iron, notizie dei suoi parenti, avuta conferma che essi erano ormai tutti morti, scrisse e gettò il suo testamento al notaio accartocciato attorno ad un sasso. Lasciava eredi di tutti i suoi averi i vicini di Favrio di Ragoli, Vigo e Bolzana, con l'onere di distribuire annualmente dei generi alimentari conformemente alle consuetudini locali.

Leggende. Le leggende si sprecano per un villaggio abbandonato come Iron: la fantomatica cappella degli appestati, gli spiriti degli appestati che ancora si aggirano per i vicoli, i 30 scheletri trovati presso la chiesa di San Giacomo maggiore. Un'altra leggenda popolare, riferita al ponte del Lisan, sul torrente omonimo proveniente dalla val d'Algone, relativa a due buche scavate nei pressi da uno di Coltura, riferisce che prima di terminare lo scavo apparve un demonio tra lingue di fuoco, con le sembianze di un caprone.













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