I Salvotti, storia di nobiltà e architettura

Il protagonista è Antonio, giudice che condannò Silvio Pellico. Del ramo trentino unico erede maschio è il noto architetto


di Giorgio Dal Bosco


TRENTO. Il fulcro della storia dei baroni Salvotti è senz’altro Antonio, (1789-1866) fregiatosi nel 1854 del titolo di barone di Bindeburg (oggi de Bindis) concessogli dall’Imperatore d’Austria per i grandi meriti acquisiti come giudice. Non solo, ma anche Cavaliere della Forte Quercia. Facciamo, però, subito un testacoda con l’attuale pronipote Giovanni Leo Salvotti de Bindis (1931) - sotto la monarchia baroni di Bindeburg - uno dei più noti architetti della città di cui qualche settimana è uscito l’urticante pamphlet “Ave Tridentum dissolutio idemitatis te salutat” (Salve Trento la dissoluzione della identità ti saluta) con cui in alcuni versi di italiano aulico canta “l’urbana commedia”. L’assaggio è nella prefazione che ne offre il taglio: “La città del tridente in ossequio all’apparato oggi al potere ritiene di rivolgersi alla tecnica e alla figure che in senso metaforico la rappresentano per chieder loro un farmaco che dissolva la carie dell’identità di cui il tridente soffre e non si cura lasciando tuttavia nell’ombra della tecnica la dimensione trascendente ….” E ancora: “Nel fluir del cammin di nostra vita mi trovai in una selva edile rozza e dura dove la dritta via era sgradita …”

Torniamo ad Antonio la cui famiglia – suo padre è Giovanni -, originaria di Mori, arriva a Trento nel 1789 su ordine della municipalità per costituire una milizia che argini le angherie napoleoniche. A farsi strada è, appunto, Antonio che studia legge ad Innsbruck, fa l’avvocato a Milano, torna a Trento nel 1813 nel ruolo di giudice della corte d’Appello. Morirà presidente di questa Corte. La famiglia, nel frattempo, acquista il palazzo angolo via Calepina e via San Vigilio nonché la villa S.Giorgio ai piedi del Bondone. Nel 1819 Antonio è a Venezia come giudice istruttore imperiale nel processo contro i Carbonari. Sono note le vicende e le accuse, in parte ritirate, di aver ordinato addirittura le torture, vicende giudiziarie che hanno per protagonisti, tra gli altri, Pellico, Gonfalonieri e Maroncelli. Di Antonio Indro Montanelli nella sua Storia d’Italia scrive: “Il suo vero torto era di assolvere i suoi compiti con grandissima competenza e accortezza; il che tuttavia non gli impediva di mostrare i denti ….” A Venezia sposa la pittrice Anna de Fratnich da cui ha il figlio Scipione che, in quanto filoitaliano e mazziniano, è, a sentire il padre, uno scavezzacollo. Da un collega di suo padre viene graziato dalla condanna a morte, passa sette anni allo Spielberg e, molti anni dopo, è nominato console a Istanbul. Il ramo dell’albero genealogico di Scipione Salvotti è quello di Mori, centro in cui vi è un famoso omonimo palazzo. Ad Antonio molti meno grattacapi dà il secondo figlio, Giovanni, che sposa la contessa Guglielmina Guidi di Puppi con la quale ha Mario (1867-1951), laureato in legge a Vienna, Leo, capitano della cavalleria d’Austria morto in circostanze misteriose, Maria, sposatasi a Vienna e non più tornata a Trento, Chiti, emigrata in America, e Silvia. Quando l’impero austrungarico si sfascia, Mario rientra a Trento e vende il palazzo di via San Vigilio per onorare la suddivisione ereditaria dei beni paterni. Va a vivere nella villa di San Giorgio con la moglie Maria de Tir dal cui matrimonio nascono due figli, Diego deceduto giovane, e Troilo che si trasferisce a Firenze, tornando a Trento nella villa paterna. La moglie, nostalgica di Vienna, vi ritorna sciogliendo il matrimonio e allora Mario, a 60 anni, si risposa con Camilla Oss Mazzurana, nipote del podestà di Trento, con cui ha Feliciana che andrà in sposa al marchese Frangipane di Udine, Fiammetta (1928-2008) vissuta a Fontanasanta con il nobile Joseph von Lutterotti e, appunto, Giovanni Leo che si laurea in Architettura a Firenze con Adalberto Libera, progettista del palazzo della Regione. Collabora con il professore universitario qualche anno a Roma e a 59 anni, dopo una vita d’affetti molto ricca e chiacchierata, si sposa con la contessa Marazzani Visconti di Piacenza. Giovanni Leo è tra i fondatori del Mart, fondatore e presidente della sezione trentina dell’Istituto nazionale Architettura, progettista di alcuni edifici della città. Ha un figlio, cinquantenne, manager a Milano, celibe: è Filippo Salvotti de Bindis Cesarini Sforza.













Scuola & Ricerca

In primo piano