Gli operai: «La bomba? Chiedete all’azienda»

Panico e accuse alla Whirlpool: «Vuole liquidarci con la scusa degli attentati». Ma i sindacalisti gettano acqua sul fuoco: «Non ha nessun interesse a farlo»


di Luca Marognoli


TRENTO. Se l'obiettivo del telefonista anonimo che lunedì ha chiamato il Trentino per lanciare un (falso) allarme bomba era di “destabilizzare”, in parte ci è riuscito. Ai cancelli della Whirlpool, nel frenetico sgommare di auto in entrata e uscita all'ora del cambio turno (13.30), tra gruppi di pachistani, sudamericani, africani e qualche trentino (questa è una “multinazionale” anche dei lavoratori) che si affollano ai tornelli, c'è una risposta che ricorre ed è spiazzante: “Chi può essere stato? Andate a chiedere all'azienda”, ti dicono tirando dritto. Sì, il dubbio insano che tutto possa essere stato orchestrato dall'alto, che questa sia una mossa bieca dei vertici per chiudere la partita, si è insinuato nella mente degli operai. Un dubbio alimentato dal fantasma di perdere il lavoro, figlio della paura di essere rimandati subito a casa. Ma che difficilmente regge alla prova della ragione, ad una riflessione compiuta a mente fredda.

I sindacalisti delle Rsu cercano di fare da pompieri: «Dopo che abbiamo fatto un percorso insieme e l'azienda si è impegnata a restare e per di più a rivedere tutti i propri piani di dismissione - cosa non da poco - che interesse avrebbe a fare una cosa simile?», afferma Lorenzo Dalrì della Uilm. «Anzi: la società si sta dannando l'anima perché abbiamo delle consegne previste entro il mese di settembre e che non riusciremo a fare dopo queste due giornate e mezzo di stop...». Chi può avere agito allora? Un operaio? «Una telefonata può farla chiunque», continua il sindacalista. «Per me questo episodio e il posizionamento del timer sono scollegati. Più probabile che quest'ultimo sia nato dall'interno. Esasperazione? Avrebbe potuto esserci subito dopo l’annuncio della chiusura. Ora pensavamo di essere tornati alla normalità, invece non è così. C’è un malumore che evidentemente non abbiamo colto... D’altra parte c’è stata una grande compattezza anche nel votare gli accordi: all’ultima consultazione su 500 persone abbiamo avuto 2 contrari». L’inquietante piega che ha preso la vicenda a metà settembre era inattesa. «Siamo sorpresi, ma anche preoccupati», prosegue Dalrì. «Se c’era qualche investitore interessato, oggi ci penserà su...».

Il clima è surreale: per i lavoratori, lo stress del lavoro che svanisce si aggiunge a quello per la propria sicurezza, minacciata da forze che non hanno volto. Inutile nasconderlo: sono giorni pesanti, pesantissimi. «C’è stato chi ha avuto dei momenti di sconforto», ammette il delegato Rsu. «Alcuni hanno manifestato non dico attacchi di panico, ma certamente paura. Alla Whirlpool lavorano una cinquantina di coppie: “Cosa ne sarà dei nostri figli se dovesse succederci qualcosa?”, dicevano alcuni. Già l’umore era basso... Quello che sta accadendo non può che fare male ai dipendenti. Il rischio è che chi guarda dall’esterno faccia di tutta l’erba un fascio, che dica: “Ecco i lavoratori Whirlpool cosa fanno”. Proprio noi che siamo sempre stati lodati per il nostro agire civile...». C’è pessimismo anche nelle parole di Muhammad, pachistano, da 16 anni alla Whirlpool. «Se ho paura? Sì, soprattutto quella di perdere il lavoro», dice mentre sale in macchina. Mostra la mano aperta con solo il mignolo abbassato: “Ho quattro bimbi, devo mantenerli. Mi toccherà emigrare un’altra volta...». Chi passa veloce, in auto, ha solo il tempo di definire con un aggettivo il momento che si sta vivendo alle linee produttive o negli uffici. «Clima bruttissimo» dice uno, «molto acceso», aggiunge un altro, «di merda», sbotta una donna con gli occhiali, «da fare paura», taglia corto un collega. «Bye-bye», si limita a gridare dal finestrino una signora alla guida di una Panda, forse riferendosi al lavoro che se ne sta andando.

Rabbia e rassegnazione. Che generano mostri: «Le minacce di attentati? Vengono dall’azienda o da qualche capo che è stato degradato», accusa un operaio. «Chi è stato? L’azienda...», butta lì un altro. Una donna con gli occhialoni giganti, ci chiede: «Ma voi al giornale non avete i telefoni sotto controllo?». Rispondiamo che non siamo alla polizia.«Non sappiamo che dire: è difficile pensare che sia stato un operaio», aggiunge. «L’unica certezza è che a rimetterci siamo noi».

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