l'inchiesta

Durnwalder, la Procura chiede tre anni

Resta in piedi il peculato. Il Pm Secco contesta spese per fini non istituzionali. La difesa: «Va assolto in pieno, non ci fu dolo»


di Mario Bertoldi


BOLZANO. Tutte la parti sono concordi nel riconoscere che l’uomo che per un quarto di secolo ha governato l’Alto Adige con ampio consenso popolare non ha intascato illegittimamente un solo centesimo. Il teorema che ha però trascinato Luis Durnwalder dapprima davanti alla magistratura contabile e poi davanti a quella penale per la vicenda dei fondi riservati è prettamente giuridico. Perchè la Corte dei Conti lo ha già condannato (in primo grado) a risarcire 385 mila euro e ieri la Procura penale, con il sostituto Igor Secco, ha chiesto la condanna dell’ex presidentissimo a tre anni di reclusione per peculato.

Durnwalder ha seguito in aula ogni attimo dell’udienza. Ha annotato notevoli elogi sulla sua figura di pubblico amministratore ma ha dovuto incassare una richiesta di condanna decisamente pesante. Processualmente parlando l’utilizzo improprio dei fondi (70 mila euro l’anno) si traduce in peculato ed il conto finale, pur rimanendo nei minimi della pena, suona comunque come uno schiaffo non da poco per un politico integerrimo e popolare come Durnwalder. Le parti hanno scelto strategie processuali profondamente diverse per illustrare le istanze finali del processo.

La requisitoria del pubblico ministero Igor Secco (subentrato al procuratore Guido Rispoli) è stata puntuale, pacata, sempre sorretta da argomentazioni tecniche e giuridiche di un certo spessore. Il magistrato ha citato in aula massime della Cassazione, sentenze della Corte costituzionale, si è richiamato ai principi generali cui ogni pubblico amministratore dovrebbe attenersi nella gestione di soldi pubblici.

E così è emerso che mentre Durnwalder gestiva in termini discrezionali i fondi che li venivano messi a disposizione in base ad una norma di legge che non prevedeva alcun obbligo di rendicontazione, la Cassazione nel corso degli anni sanciva più volte che anche le spese riservate (perchè siano legittime) debbono essere connesse a finalità istituzionali, che le spese riservate non possono essere considerate «spese segrete o insindacabili» e che non è compatibile con i principi costituzionali l ’utilizzo di denaro pubblico sottratto a qualsiasi tipo di controllo.

C’è da chiedersi perchè per 20 anni nessuno (Corte dei Conti compresa) non abbia mai rilevato la profonda incompatibilità giuridica della legge provinciale che nel 1994 istituì il fondo riservato (diverso da quello di rappresentanza) prevedendo la massima discrezionalità di utilizzo. Ieri il pubblico ministero ha riproposto in requisitoria passo dopo passo i punti essenziali del teorema d’accusa contestando un primo gruppo di spese non sufficientemente riscontrabili, altre documentate ma non riconducibili a fini istituzionali (tra cui un regalo per il compleanno dell’assessore Mussner), altre ancora non ammissibili perchè riguardanti consumazioni personali (come caffè, latte, yogurt, medicinali, the, tisane, brioche), con contestazione finale del sistema delle compensazioni considerato dalla Procura illegittimo in quanto mancherebbero certezze contabili sui crediti presunti maturati da Durnwalder.

I due avvocati difensori, Gerhard Brandstätter e Domenico Aiello sono giunti a conclusione diametralmente opposte e hanno chiesto l’assoluzione con la formula ampia dell’ex governatore battendo soprattutto su un tasto: l’assoluta mancanza di dolo nel comportamento di Luis Durnwalder che avrebbe gestito il fondo riservato in totale buona fede, anzi tenendo (nonostante non fosse obbligatorio) un minuzioso rendiconto delle spese sostenute a dimostrazione dell’assoluta trasparenza e onestà con cui l’ex governatore ha sempre operato. Brandstätter ha parlato di processo «irrazionale, ingiusto, assurdo». Un processo che, secondo il legale, non avrebbe mai dovuto neppure essere istruito.













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