l’intervista

«Due anni sulla graticola, ecco perché ho mollato»

Parla Flor: «Contro la sanità (e contro di me) basse insinuazioni e attacchi ingiusti» Pensò a Padova già in maggio: «Niente domande e concorsi. Mi hanno chiamato»



TRENTO. E’ solo dopo le 20, quando è in auto, diretto verso casa, che Luciano Flor risponde al telefono su cui sono registrate decine di chiamate e messaggi.

Direttore Flor, il suo annuncio è stato un fulmine a ciel sereno con tante ipotesi sulla sua partenza: è alla ricerca di nuove prospettive professionali? si tratta di un atto di sfiducia nelle politiche sanitarie della Provincia di Trento? motivi personali?

Con tutto quello che ho passato negli ultimi due anni, mi sorprendo che mi si chieda perché vado a Padova: sono stato due anni sulla graticola.

A cosa si riferisce?

Attacchi personali, insinuazioni, strumentalizzazioni politiche. Il confronto è giusto, ma non accetto che si scenda sul piano personale e non sopporto i giudizi in malafede che mi sono stati rivolti.

Si riferisce agli ultimi attacchi in consiglio provinciale?

Quelli, ma non solo. Parlo di giudizi ingiusti, non solo istituzionali: attacchi immeritati alla nostra sanità, l’unico settore dove possiamo andare a testa alta, attacchi che dimostrano come in Trentino sappiamo farci male da soli.

Quando ha cominciato a pensare a Padova?

Nei mesi scorsi, quando l’assessora Donata Borgonovo Re mi ha chiesto dove mi sarei visto tra un anno. Lei cosa avrebbe fatto?

Così ha fatto domanda a Padova.

Sbagliato. Io non ho fatto nessuna domanda, tanto che sono stato nominato commissario. Avevano bisogno di una certa professionalità e hanno sondato la mia disponibilità. Vado a lavorare all’azienda ospedaliera di Padova senza aver fatto domanda in nessun posto d’Italia e senza aver fatto quei famigerati concorsi di cui si parla in Trentino.

Quando ha ricevuto la notizia della nomina?

Martedì. E l’ho comunicata al presidente Rossi.

Il presidente non l’ha presa bene.

Il mio rapporto si basa su un contratto. Con il presidente Rossi ho avuto sempre un rapporto chiaro e franco, molto più di un “buon rapporto”. Capisco la sua reazione e la comprendo, ma a volte le scelte (se sono scelte vere) finiscono per scontentare qualcuno.

Il suo addio è anche una sorta di sfiducia alle politiche sanitarie trentine, in bilico tra le richieste delle valli e le esigenze di bilancio?

No. La politica fa le sue scelte e il mio compito è quello di organizzare le risorse che ci vengono date a disposizione. E posso dire che la sanità trentina è cresciuta molto in questi anni.

A Padova prenderà uno stipendio dimezzato rispetto a quello di Trento.

L’ho detto e lo ripeto: se fosse per i soldi farei altro. Con 123 mila euro lordi all’anno si può vivere benissimo, anche con due figli all’università, come nel mio caso.

Cosa rimpiange?

Ho dato tutto quello che potevo. Negli ultimi quattro mesi abbiamo avuto critiche feroci senza registrare un problema a un malato. La sanità trentina - dove lavorano persone molto capaci - non merita questo trattamento. (a.s.)

 













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