Chi ha incastrato Andreas Hofer?

«Un incolpevole burattino della Realpolitik»


Stefano Fait


Chi ha incastrato Andreas Hofer? È stato abilmente manipolato per servire gli obiettivi della Casa d'Austria, che l'ha poi sacrificato sull'altare dell'armistizio? È stato vittima di una subdola macchinazione congegnata allo scopo di liberarsi di un gruppo di contadini facinorosi ed indipendentisti, da sempre ostili al centralismo imperiale asburgico? È un sospetto legittimo, per quanto impossibile da corroborare, che può sfiorare il lettore di «Andreas Hofer (1767-1810). Dalle fonti alla storia», uno studio sapiente e circostanziato degli scritti del patriota tirolese (680 documenti tra lettere, appunti ed atti), ad opera di un ricercatore dell'Università di Innsbruck, Andreas Oberhofer. Nomen omen, un nome un destino.  Pubblicato dalla Fondazione Museo Storico del Trentino e curato da Rodolfo Taiani e Valentina Bergonzi, il testo tratteggia la figura di un uomo semplice, di buon cuore, retto e sincero, modesto e di grande abnegazione, di discreta cultura (parlava trentino, veneziano, tirolese e tedesco, sapeva leggere e se la cavava con la scrittura), generalmente sollecito nei confronti degli altri, anche dei nemici, certamente non una testa calda e con un temperamento tutt'altro che brutale. Un uomo che, in altre circostanze, avrebbe optato per il motto "vivi e lascia vivere" e gioito di ciò che la vita gli avrebbe riservato, apprezzando il buon cibo, il buon bere e la buona compagnia. Ma era anche un uomo ingenuo, vulnerabile, superstizioso, estremamente insicuro, impulsivo, tormentato dall'insicurezza economica, non particolarmente coraggioso; una personalità facilmente manipolabile che «non aveva il minimo orgoglio e lasciava che gli altri gli dessero consigli e istruzioni», che «deve sempre porsi dalla parte di chi, del suo entourage, lo mette in buona luce», cosicché «chi sapeva colpire il suo cuore aveva gioco facile».  Oberhofer precisa che «la domanda sulle vere cause politiche, storiche e non ultimo umane della grandiosa carriera di Hofer continua a non trovare risposte soddisfacenti", ma qualche indizio è rintracciabile nella messe di riferimenti e documenti che l'autore ci mette a disposizione. C'è, ad esempio, il motivo del "re perduto" che un giorno, durante una congiuntura disperata, dovrà tornare dal suo popolo per riscattarlo. Lo si riscontra in tutto il mondo - Gesù il Cristo, Re Artù, Barbarossa (Kyffhäuser), Quetzalcoatl, Viracocha, il Mahdi, il "Mashiach" (Messia) - e lo rievoca il segretario di Hofer. Oberhofer dubita che il taverniere della Passiria potesse conoscere questo ciclo di leggende ed è in effetti curioso che qualcuno che "fu trascinato dagli eventi ad assumere il ruolo di capo degli insorti" abbia poi deciso di adottare questo archetipo così evocativo e sofisticato, che fa il paio con quello, altrettanto ipnotico, del Popolo Eletto tirolese, paragonato ad Israele.  Il 2 novembre 1809, quando le cose volgevano decisamente al peggio, Hofer, invia due delegati per trattare la resa e chiedere perdono, ma pochi giorni dopo si contraddice, lanciando un appello che incita la popolazione ad una rivolta permanente e suicida. A chi lo interroga, l'oste risponde: «Sono sopraggiunti dei mascalzoni da Bressanone che mi hanno obbligato a lanciare un nuovo appello al popolo. A lungo ho opposto resistenza, ma dovevo farlo altrimenti mi avrebbero ucciso».  Così c'è un Hofer che predica la clemenza e la compassione verso i prigionieri, da trattare «secondo il diritto delle genti», ed un Hofer che esorta al linciaggio di chi, tra gli stessi Tirolesi, «non si adopera per la nostra giusta causa» e perciò «non va risparmiato, giacché il nostro agire è cristiano». C'è un Hofer che invoca la giustizia sociale e l'uguaglianza, ma poi scrive: «Combattiamo solo per Dio e per la fede, non per il paese e la gente». C'è un Hofer che raccomanda di rispettare gli Ebrei ed un Hofer che li discrimina. A questo proposito, Oberhofer suggerisce che questi proclami vessatori «possono essere stati prodotti del tutto liberamente dai consiglieri».  E dunque? Abbiamo forse celebrato il bicentenario di un incolpevole burattino, vittima della più bieca Realpolitik? La questione attende ulteriori approfondimenti.  

© RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano