Carcere, disagio psichico e troppi suicidi 

La relazione della garante. In tre anni quattro suicidi, in media 8 all’anno quelli tentati. Il 42% dei detenuti di Spini soffre di depressione. Menghini: «Manca una struttura specifica per questi problemi». E calano le occasioni di lavoro


Daniele Erler


Trento. Due nel 2018, una nel 2017, un’altra nel 2016, zero nel 2015. Sono le persone che si sono tolte la vita nella casa circondariale di Spini di Gardolo: in media una all’anno. I tentativi di suicidio sono in media otto all’anno (cinque nel 2018), gli episodi di autolesionismo 27 (34 nel 2018). I dati sono stati presentati ieri da Antonia Menghini, la garante provinciale dei diritti dei detenuti. Fotografano una situazione allarmante, in media peggiore rispetto ad altre carceri italiane. Per arginare questa emergenza, da poche settimane c’è un nuovo “piano locale di prevenzione dei suicidi”. Primo segnale positivo, secondo la garante, perché permetterà di «delineare le modalità operative più efficaci possibili», mettendo in rete più soggetti a contatto con i detenuti. «Ogni suicidio è una storia a sé e spesso è difficile anche riuscire a capirne le vere motivazioni – spiega la garante –. Questi dati richiedevano però un intervento istituzionale importante». Ma per il carcere di Spini questo non è l’unico problema.

Sono passati sei mesi dalla rivolta del 22 dicembre, quando un centinaio di detenuti causarono grossi danni. Poche settimane prima si erano tolti la vita due detenuti di 20 e 32 anni. Da allora, ci sono stati alcuni interventi per riuscire a dare una risposta immediata alla situazione d’emergenza. Un nuovo modello organizzativo permetterà di migliorare l’assistenza sanitaria, anche di notte. È aumentato il numero di medici e infermieri. Presto arriveranno alcuni specialisti in psichiatria. Molti detenuti sono stati trasferiti, di fatto risolvendo – ma solo temporaneamente – il problema del sovraffollamento. Oggi a Spini sono recluse 296 persone: ma aumenteranno nei prossimi mesi, quando si arriverà a circa 350 detenuti. La grande maggioranza sono uomini (92,8%). Gli stranieri sono il 68%: un dato motivato dalla vicinanza di Trento con la frontiera e in controtendenza rispetto al resto d’Italia, dove gli stranieri nelle carceri sono il 34%.

Circa il 42% manifesta sintomi di depressione: a rischio soprattutto i giovani, gli stranieri e chi ha difficoltà a mantenere i rapporti con l’esterno. Ci sono poi casi più gravi di disagio psichico. Menghini ha sottolineato come manchi nel carcere una struttura specifica per questi problemi: i detenuti che ne soffrono vengono ospitati in infermeria, in isolamento, con il rischio che i sintomi peggiorino. Nel 2018 c’è stata anche una contrazione del 40% del lavoro in carcere perché sono aumentati i compensi, ma il budget è rimasto invariato. Ci sono problemi nell’area educativa, dove l’organico è sottodimensionato. Le unità di polizia penitenziaria sono circa 170 (nel 2017 erano 130), ma mancano ispettori e sovraintendenti.













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