Al Prati si rispolvera l’orgoglio del classico 

La “Notte dei licei”. Fino quasi alle 23 gli studenti hanno preparato lezioni e proposto gag in costume ispirate alle lettere, alla filosofia, all’antichità. «Questa è la scuola dei sognatori»


JACOPO STRAPPARAVA


Trento. Il programma era scritto su un volantino piegato in tre parti: bastava chiederlo al Loris, il bidello, appena varcato l’ingresso. C’erano il mondo elisabettiano e i drammi di Shakespeare, recitati in lingua originale. La musica e i suoni in Petronio. Una commedia di Plauto. L’Agamennone di Eschilo. «Momenti di storia della matematica». Insomma tutte cose sufficienti, a prima vista, per far scappare a gambe levate qualsiasi giovanotto tra i 14 e i 18 anni.

Siamo al Prati (dove se no?), in via santissima Trinità. È buio e fa freddo, ma le luci di questo austero ex convento – con ancora le tombe delle suore nei sotterranei e i gufi impagliati nelle teche del piano terra - sono ancora accese. La scuola più antica della città, un paio di sere fa, è rimasta aperta fin quasi alle undici. È la notte nazionale del liceo classico, si festeggia ovunque in Italia. E, come dice il prof di greco siciliano che se l’è inventata, serve «a far sì che gli studenti identifichino i locali in cui quotidianamente vivono le ansie di un cammino faticoso, ma gratificante, di studio, con un ambiente ludico, in cui cultura vuol dire gioia, piacere di condivisione, rispetto dei tempi e delle parti».

«I licei classici stanno morendo» spiega, senza tanti giri di parole, una professoressa. È una giornata d’orgoglio. La festa, ormai dal 2015, si tiene ogni anno proprio per questo. Stavolta gli istituti coinvolti, in tutto il Paese, sono 436. In altre città vanno avanti fino a mezzanotte, qui al Prati tutto finisce per le 22.30. Ma, come si dice in questi casi, l’importante non è vincere, è partecipare.

I prataioli, infatti, partecipano, e con entusiasmo. Ci sono studenti e insegnati, ovvio. C’è qualche genitore, dirottato qui dalla prole. E persino alcuni ex studenti, segno che questa scuola non deve averlo segnato così nel profondo, tutto sommato.

In giro per i corridoi e in aula magna, gli studenti hanno preparato scenette e lezioni. Quelli di I A, vestiti da antichi romani, leggono una storia in latino maccheronico: «Nutella placet omnibus pueris atque puellis sed, si troppa Nutella fagocitare, cicciones divenire». Il prof Brocchieri si lancia in un «gioco storico» di sua invenzione, ispirato alla rivolta di Frankhausen, in Turingia, del 1525. Tre ragazze, una vestita di bianco (la capretta) e una di nero (il lupo) spiegano che il detto «salvare capra e cavoli» l’ha inventato nel IX secolo tale Alcuino di York – hanno pure un cavolo vero, appena comprato. Anna Gentile e Edoardo Castelli recitano Romeo e Giulietta (lei fa Romeo, lui Giulietta). Altri tre ragazzi spiegano che Archimede, a Siracusa, usava un gigantesco cavallo di bronzo come tortura: ci mettevano dentro i prigionieri e li facevano abbrustolire al sole. Il preside Dal Vit declama: «Il classico è una proposta formativa attuale, combina i saperi in modo fecondo e sagace». A qualcuno, tutto questo potrebbe sembrare snob. È un grido d’allarme. Al Prati i prof dicono che il Trentino è in controtendenza, che le sezioni ora arrivano fino alla F, che - «non è più come una volta» - si studiano tanta matematica e lingue moderne, che hanno varato persino la settimana corta , la crisi incombe. In tutta Italia i licei classici vengono chiusi, accorpati, perdono iscritti.

È la fine di un’era. Sul vecchio fiore all’occhiello della scuola gentiliana incombe lo spirito dei tempi. Incombe l’idea che il sapere debba essere necessariamente legato all’utilità pratica, la riforma che ha permesso a chiunque di accedere all’università (spesso a danno, non a beneficio, dei meritevoli), il ragionamento per cui, visto che le materie tecnico scientifiche portano a guadagnare di più, fatica per fatica, tanto vale impararsi i logaritmi, invece dell’aoristo. Sicché il classico, da fucina della classe dirigente, si va facendo sempre più riserva indiana. «Questa è la scuola dei sognatori» commenta uno dei prof del Prati, dei ragazzini delle medie che, spesso in maniera vaga, amano l’avventura, i libri, la mitologia greca. «Poi vengono qui e finiscono massacrati di grammatica», chiosa. Però, nella zucca di chi sopravvive, forse qualcosa ci finisce.

Gli studenti, due sere fa, non sembravano intenzionati a mollare. Se davvero non lo faranno, la filosofia, le lettere, l’antichità classica, la storia dell’arte, persino le famose lingue morte, rimarranno vive, nel senso che saranno ancora fondamento di una civiltà. Altrimenti diverranno vecchie suppellettili. Un po’ come quei gufi impagliati, nello loro teche di legno al piano terra, su cui da decenni, se non da secoli, si posa la polvere.













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