Al Parco S.Chiara sono tornati i profughi invisibili 

Sono quelli arrivati via terra e che non hanno alcun diritto: «Ormai qui a Trento siamo diventati una comunità»



TRENTO.. Sono tornati gli invisibili del Parco Santa Chiara, vittime di quell’immigrazione che riserva diritti, aiuti e prospettive unicamente a chi è arrivato via mare. Loro invece sono arrivati via terra – Turchia, Grecia, Macedonia, Serbia e poi Austria e Germania – a piedi o con mezzi di fortuna e non esistono. Per loro non ci sarà una soluzione all’emergenza freddo, non c’è il supporto del Cinformi e nessun programma di protezione: sono in un vicolo cieco perché non avendo documenti non possono nemmeno essere rimpatriati o trovare un lavoro e l’unica cosa che le forze dell’ordine possono fare, è costringerli a spostarsi da un parco all’altro della città.

Li incontriamo in una serata ancora mite di inizio ottobre al Parco Santa Chiara. La loro non è una sistemazione provvisoria, ma hanno sentinelle, giacigli protetti e riescono persino a dare l’impressione di riuscire a fare gruppo negli ordinati giacigli che si sono fatti lungo il porticato che costeggia il primo tratto del parco. Incontrarli non è difficile, superiamo l’area di ingresso dell’Auditorium e ci dirigiamo verso i giardini. La prima sentinella l’incontriamo sotto il tendone dove in estate c’era il parco. “ Tutto bene ?” ci chiede e poi lancia la voce ad un secondo palo, quando rispondiamo tirando dritto. Saliamo le due brevi scalinate ed incontriamo un secondo ragazzo che fa un movimento quasi per fermarci e poi ci affianca per qualche passo. Ci fermiamo e ci presentiamo, ci spiega che nessuno parla italiano, ma molti tedesco. Ci addentriamo nel parco fino ad arrivare ad un porticato quasi al buio dove ormai gran parte dei ragazzi stanno già dormendo. È un velocissimo passa parola ed in pochi secondi attorno a noi ci sono quasi tutti, sorridenti, cordiali e con la voglia di raccontarsi. Ci dicono che sotto il portico sono una trentina, una quindicina e sono i più anziani, si trovano sono nell’area dell’ex mensa universitaria ed altrettanti sono in un altro parco.

La giornata passa tra il Punto d’Incontro dove si lavano, bevono e pranzano e la cena alla Caritas, in mezzo il vuoto. Senza documenti non possono lavorare anche se qualche lavoretto in nero riescono a farlo e nemmeno avere un appartamento. Durante il giorno si spostano per incontrare i loro connazionali con la speranza che qualcuno possa ospitarli. Almeno la metà in Pakistan ha moglie e figli; c’è chi faceva il barbiere, chi il sarto, un pastore: lavori da pochi soldi che hanno lasciato non pensando certo di finire così. Avete provato a fare un corso di italiano? “Lo possiamo fare solo a pagamento. Siamo migranti di terra e non rientriamo nei programmi di protezione. I nostri documenti sono rimasti in Germania quando ci hanno espulso e non abbiamo identità. È come se non esistessimo”. In questa situazione hanno fatto gruppo e sono conosciuti anche fuori Trento. “Siamo in contatto e così quando uno deve venire a Trento ci chiama e noi gli spieghiamo cosa fare e dove andare”.

A inizio estate erano una decina, adesso quasi sei volte tanti: “In estate qualcuno si sposta per cercare un lavoro, poi molto dipende dalle espulsioni: più ne mandano via dalla Germania e più ne arrivano. Non c’è un altro posto dove andare e non possiamo nemmeno pensare di tornare in Pakistan. A Trento siamo una comunità aperta e non abbiamo problemi ad accogliere altri fratelli, non è così nelle altre città”.

(d.p.)













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