LA SCOMPARSA

Addio padre Fabrizio il frate degli ultimi

Cappellano del carcere e fondatore della mensa dei poveri, Forti è morto in convento a 66 anni. Da Valle Aperta a Sarajevo, una vita di impegno


di Chiara Bert


TRENTO. «Noi non facciamo cose straordinarie. La nostra è solo una risposta a un diritto: dare a tutti un pezzo di pane». Così padre Fabrizio Forti parlava della mensa dei poveri di cui era l’anima al convento dei Cappuccini della Cervara, un posto che ogni giorno dell’anno, Natale e Pasqua compresi, offre centinaia di pasti caldi a chi non può permetterselo.

La mattina in carcere a Spini, dov’era cappellano. Il pomeriggio alla mensa, in convento. Questa era la vita di Fabrizio Forti, per tutti «padre Fabrizio». Originario di Gardolo, avrebbe compiuto 67 anni giovedì. Se n’è andato sabato notte, nel sonno, colpito da un malore. L’hanno trovato ieri mattina i frati, nella sua stanza al convento. Lo aspettavano al carcere, come ogni domenica per celebrare la messa, ma lui non è arrivato.

Un grave lutto per i Cappuccini, per la Chiesa ma soprattutto per la comunità trentina, che lo ha conosciuto là dove c’è chi ha più bisogno: tra i poveri, i detenuti, i malati psichici, i tossicodipendenti. Ma anche nel suo impegno per la pace, lui che aveva conosciuto e tessuto relazioni anche con i signori della guerra di Bosnia.

Raccontare padre Fabrizio significa partire da lontano. Tra i tanti che lo hanno conosciuto a fondo c’è il consigliere provinciale del Pd Mattia Civico. «Bicio. Ci sei sempre stato, in ogni passo. Da Segonzano a Sarajevo, dal carcere al Libano. Buon viaggio, uomo di pace», lo ha ricordato ieri con un tweet. «È una persona che ha inciso profondamente nella mia storia - racconta - l’ho conosciuto quasi trent’anni fa, ero ancora uno studente delle superiori, la domenica prendevo la mia vespa e salivo al convento di Segonzano, dove c’erano padre Fabrizio e padre Antonino Butterini. Conquistava per la sua capacità di ascolto profondo, per il suo sguardo particolare sulle persone».

L’esperienza del convento di Segonzano, insieme a padre Costantino e padre Claudio Trenti, è stata una delle tappe più importanti della vita di Fabrizio Forti. «Benvenuto, serviti di ciò di cui hai bisogno», era scritto sulla porta di ingresso all’eremo. Qualcosa di più di un convento, una casa con le porte sempre aperte, dove si viveva una vita essenziale: in poco tempo diventata un punto di riferimento per tanti, in val di Cembra e non solo. Qui i futuri frati passavano un anno di verifica vocazionale. Arrivavano tanti giovani, che si sentivano accolti, non senza diffidenze da parte dei parroci della valle. «Era un luogo senza barriere», ricorda Civico. Sempre a Segonzano, nel 1985 Fabrizio è il fondatore di «Valle Aperta» che con un gruppo di volontari di Verla si occupa di persone con disagio psichico e di relazione, attraverso il metodo innovativo del gioco: nel tempo è diventata un’associazione che oggi ha sede a Ponciach di Faver, con progetti di accoglienza anche residenziale. «Chi ha una sofferenza psichica è il più povero tra i poveri», diceva padre Forti. E Da Segonzano nascerà anche Sorgente ’90, associazione culturale motore ancora oggi delle attività giovanili della val di Cembra.

Fabrizio è anche in prima linea contro la guerra. È tra le anime di «Beati i costruttori di pace», con don Tonino Bello è nella Sarajevo assediata, protagonista di Mir Sada, le carovane della pace, l’interposizione non violenta. «Aveva una grande capacità di entrare in relazione, anche con i potenti», racconta Mattia Civico, «la sua era una vera diplomazia popolare che lo portò in contatto con i signori della guerra, da Karadzic a Izetbegovic». Era, al tempo, segretario nazionale della Commissione giustizia pace ecologia dei Cappuccini, e questo suo attivismo gli tirò addosso anche forti critiche dall’interno. Fu un momento di sofferenza personale, così come la chiusura dell’esperienza di Segonzano, che lasciò dietro di sè un grande vuoto.

Dopo un periodo a Terzolas, padre Forti torna a Trento e il suo impegno non si ferma. Fonda la mensa dei poveri al convento dei Cappuccini, che mette in campo una macchina di 400 volontari che cucinano, servono in tavola, raccolgono il cibo dai supermercati per farne dei pacchi per chi ha bisogno. Tra loro ci sono Marta e Lorenzo Rossi, già tra i fondatori di Valle Aperta: «Un vulcano di idee, Fabrizio era così. Si poteva essere d’accordo o no ma era uno che si è sempre speso. Non mancava mai, ogni giorno dalle 14 alle 19.30 era al lavoro alla mensa». Perché la cena alle 17?, gli chiedevano. «Perché la maggior parte di chi viene qui, a pranzo non ha mangiato e poi deve correre alla Bonomelli per cercare un posto dove dormire», rispondeva. Un carattere ruvido il suo, a tratti irruento: andare d’accordo con lui non era sempre facile. Accanto alla mensa, l’altro grande impegno degli ultimi anni è stato il carcere di cui era cappellano. «Una presenza unica, per la sua capacità di ascolto e di accoglienza senza dare giudizi, di muoversi dentro un contesto complicato», racconta ancora Civico. Ogni giorno passava ore con i detenuti, e ogni domenica a Spini celebrava messa. Con gli ultimi, ancora una volta.













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