«Ecco perché ho scelto Santa Giustina» 

Lo scrittore Alessandro Barbaglia e il suo romanzo ambientato in Val di Non: «Mi ha colpito la storia dei ponti sommersi»


di Daniele Brida


CLES. Una copertina azzurra come il cielo che si riflette sulle acque del lago. Il titolo incuriosisce subito: “L’Atlante dell’invisibile”. L’autore è un poeta e libraio di Novara: Alessandro Barbaglia, classe ‘80. Quando Amedeo Pancheri, operaio della Elcograf di Cles (ex Mondadori), inizia a sfogliare il romanzo in fase di controllo produzione, si accorge subito che ha a che fare con la Val di Non. I nomi, così come le ambientazioni, sono nonesi. I protagonisti sono nonesi. Amedeo decide così di sottoporre il romanzo alla biblioteca di Cles. Qualche tempo dopo, martedì scorso per la precisione, proprio nella biblioteca del capoluogo l’autore del romanzo, Alessandro Barbaglia, ha raccontato se stesso, la sua opera e tutto ciò che appartiene all’“invisibile” davanti a un pubblico davvero nutrito, curioso di conoscere qualcosa in più su questa storia che parla di mondi sommersi, di infanzia, di emozioni che non si possono vedere ma ci sono. Una storia ambientata a casa propria.

Ma com’è nato questo romanzo?

Nasce dall’idea di voler raccontare un territorio sommerso, nello specifico quello dell’infanzia. Volevo narrare di tre bambini, Dino, Sofia e Ismaele, e di come la loro infanzia stia per essere sommersa non solo dal semplice fatto che stanno diventando adulti, ma anche da un lago, da qualcosa di concreto. E quindi ho scritto di Dino, Sofia e Ismaele che abitano in Val di Non, vicino a Cles, negli ultimi giorni prima che il fiume Noce riempisse l’invaso, trasformandolo nel lago di Santa Giustina e mangiandosi il prato dove hanno giocato e sono stati bambini, vivendo tutte le loro avventure fatte di storie invisibili.

Come mai ha scelto proprio Santa Giustina e la Val di Non come ambientazione?

Perché quello di Santa Giustina è tra i più grandi laghi artificiali d’Europa e anche la sua diga è tra le più alte del nostro continente. Poi, a differenza di tante valli e tanti paesi sommersi, ogni tanto dal lago di Santa Giustina riemerge qualcosa. Nello specifico, ad avermi affascinato è la storia dei ponti sommersi. Il mio romanzo è una storia di ponti: Dino, Sofia e Ismaele rimangono collegati tramite un ponte alla propria infanzia, nonostante sia diventata invisibile.

La Val di Non è quindi una zona che lei conosce bene.

L’ho conosciuta e l’ho studiata quando ho iniziato a scrivere il libro. Ho scoperto dei ponti sommersi leggendo un articolo sul portale “I Love Val di Non”. Poi sono stato per un periodo a Cles per cercare di scrivere il romanzo nella maniera più corretta possibile.

A chi consiglierebbe il suo libro?

I protagonisti all’inizio sono bambini, alla fine sono adulti e si chiedono a cosa sia servito vivere un’infanzia piena di invisibile. Ci sono altri due protagonisti, Elio e Teresa, che incontriamo già adulti e che vedremo diventare anziani. Qualunque lettore può leggere volentieri “L’Atlante dell’Invisibile”: non è una storia per ragazzi e non è più adatta a qualcuno piuttosto che a qualcun altro. Se hai voglia di vedere e di giocare con l’invisibile potrebbe essere un romanzo per te.

Ma che cos’è, realmente, l’“invisibile”?

Scrivendo questo libro mi sono convinto che siamo fatti di cose invisibili che ci tengono vivi: possono essere l’amore, il dolore. Anche l’infanzia quando cresci diventa una cosa invisibile che però ti tiene vivo. Il tempo è un’altra cosa invisibile, la fedeltà. Ma anche da un punto di vista pratico l’ossigeno è invisibile, così come la luce, l’acqua. Ecco cos’è l’invisibile: una serie di cose necessarie alla nostra vita, nonostante abitino quella parte invisibile che siamo noi.

Che cosa ha significato per lei presentare il suo romanzo proprio a Cles, nel cuore della Val di Non, là dove tutto, in un certo senso, è cominciato?

È stata un’emozione molto forte. Questo è il mio secondo romanzo, il primo era ambientato a Camogli, in Liguria, dove non sono mai andato a presentarlo perché non me la sono sentita, avevo un po’ paura. E anche martedì sera, a Cles, mi spaventava riportare la mia storia lì dove è nata. È difficile attraversare le strade che sono abitate dalle tue storie. Non sai mai che effetto ti può fare. È stato molto bello, davvero emozionante.

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