DAL TRENTINO FIN NELLO YUKON / 4

L'ultimo saccheggio del Grande Nord

Per i documentaristi Paola Rosà e Antonio Senter, impegnati in un progetto sostenuto anche da Montura Editing, i tre mesi sulle montagne dello Yukon diventano l'occasione per raccontare l'attesa e il cambiamento di una Keno City contesa dalle compagnie minerarie



Gira voce che l'incidente al pozzo di un paio d'anni fa, quando durante dei lavori di manutenzione un crollo ha causato una grave contaminazione della falda, non sia accaduto per caso. “Una comunità senz'acqua è una comunità appesa a un filo. Basta un nonnulla per annientarla”. E il fatto che per il terzo anno Keno City dipenda dalle autobotti che salgono da Mayo tre volte la settimana rende difficile per tutti lanciare lo sguardo a lungo termine. “Prima hanno promesso di riparare i danni al pozzo, poi hanno garantito che copriranno le spese di consegna dell'acqua. Ma con tutte quelle concessioni minerarie, con le nuove strade tutto intorno e gli investimenti delle grandi compagnie – dicono fra i denti a Keno City – non sappiamo per quanto tempo il governo ci potrà sostenere”.

Un paradosso. Quella che di Keno City, epicentro delle miniere d'argento per quasi un secolo, è stata la fortuna, rischia ora di diventarne la sventura. “Con il rumore della miniera ventiquattr'ore su ventiquattro qui non sarà più lo stesso posto”.

E dire che negli ultimi vent'anni, da quando lo stabilimento dietro la collina chiuse all'improvviso facendo emigrare centinaia di famiglie, i più affezionati a questo spicchio remoto di Yukon erano riusciti a convertire quella perdita in risorsa. Per qualche migliaio di turisti d'estate, per i cacciatori di pellicce, per solitari d'ogni dove che qui trovavano e trovano rifugio, Keno City era un angolo di storia e di isolamento, un giacimento di memorie in cui gli intrecci di migliaia di vite, qui per la miniera dal 1919 al 1989, avevano lasciato tracce da preservare.

Polacchi e britannici, italiani e ungheresi, tedeschi e jugoslavi, fuggiti dalle guerre e dalle conseguenze delle guerre in Europa, erano stati accolti dall'economia canadese senza tanti filtri. Servivano braccia, servivano ingegneri e tecnici. “E mia madre, che cucinava così bene, pur essendo italiana moglie di un operaio, aveva accesso ai salotti dei tedeschi e degli inglesi”, ricorda Mike, tra gli artefici del recupero della memoria. Un museo a due piani, tre capannoni colmi di attrezzi e trivelle e macchinari, un archivio di foto e documenti. Questa era la nuova miniera di Keno City. Finora.

La concessione governativa e dei nativi ai nuovi 65 km di strada dell'Atac Resources, la conferma delle operazioni di scavo della Victoria Gold e soprattutto le trivellazioni della Alexco a due passi dal paese, indicano che per Keno è finito il tempo della memoria. Insieme a camion, demolizioni e polvere, arriveranno comunque anche tanti soldi. E posti di lavoro. Per oltre 600 operai (più degli abitanti di Mayo e Keno messi insieme) alloggiati nelle baracche, coprifuoco alle 9 per evitare problemi di alcolismo ma decine di migliaia di dollari di stipendio. “Con tutti questi soldi in arrivo è difficile passare dalla parte di chi contesta”, scuotono la testa a Keno.













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