Perde il lavoro: accusa azienda e medico 

Un operaio della Fedrigoni (invalido al 46%) licenziato perché inabile alla mansione «Colpa loro se mi sono aggravato». Il pm ha chiesto l’archiviazione, il Gip si è riservato 



ARCO. Nell’estate del 2016 è stato licenziato. Per il suo datore di lavoro, la cartiera Fedrigoni, non era più idoneo alla mansione che gli era stata assegnata. E così un cinquantenne, operaio presso lo stabilimento del Linfano, si è ritrovato senza stipendio e con il peso di un’invalidità civile certificata al 46% a causa di un problema lombare. L’operaio ha così deciso di denunciare l’azienda e il medico aziendale che lo aveva più volte visitato nel corso degli anni per lesioni personali colpose con violazione delle norme antinforrtunistiche. Il pm roveretano titolare del fascicolo, De Angelis, ha chiesto l’archiviazione, argomentando che non c’è prova di un aggravamento della malattia. L’avvocato dell’operaio ha impugnato la richiesta e il gip Monica Izzo si è riservato una decisione.

La storia professionale del cinquantenne presso la cartiera Fedrgioni inizia nel 2002. Nel 2007, a seguito di una consulenza tecnica, gli viene riconosciuta un’invalidità del 35% a causa di un problema lombare. Ciononostante – sostiene l’operaio – l’azienda lo ha sempre impiegato in mansioni che prevedevano movimentazione di carichi pesanti. Nel corso delle visite mediche aziendali, il medico ha sempre dato un’indicazione generica di evitare pesi importanti, senza mai indicare in modo specifico un peso. Cosa che invece fa nel 2015, quando certifica che l’operaio non può movimentare pesi superiori ai 15 chili. “Troppo tardi”, è l’argomentazione dell’avvocato del cinquantenne, che nel 2014 proprio a causa dei problemi di salute si era dovuto assentare a lungo. Nel 2015 l’invalidità viene certificata al 46% e nel 2016 arriva il licenziamento perché inidoneo alla mansione. Per l’operaio la colpa è del medico (soprattutto) e dell’azienda. Quest’ultima ha sostenuto che non c’è correlazione tra la mansione svolta e la patologia e di aver comunque seguito le indicazioni del dottore. Il medico aziendale, a sua volta, si è difeso ritenendo di aver agito correttamente e di non aver ritenuto necessario indicare un limite specifico al peso da movimentare. Argomentazioni, quest’ultime, che hanno trovato d’accordo il pm, secondo il quale non c’è prova che l’aggravamento delle condizioni di salute sia legato al lavoro. L’ultima parola ora spetta al gip Izzo.

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