La poesia di una passeggiata sulla neve, seguendo le orme del nonno di Corona

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Dice Mauro Corona, sul Corriere della Sera di oggi, che tanti anni fa il nonno lo obbligava a camminare nei boschi del Friuli posando i piedi nelle sue orme: “Per non sporcare la neve più del necessario”. Il che è chiaramente una palla, perché i vecchi di una volta avevano altri pensieri che non quello di mantenere la neve pulita, in quegli anni in cui la neve – molto più abbondante di quella a cui ci siamo dovuti abituare – non portava soldi, ma solo scocciature.

Però caro Mauro Corona, in questa idea di mantenere bianca la neve, mi ci ritrovo in pieno. Al punto che sono disposto persino a credere a questa storia del nonno poeta che camminava con delicatezza nella neve e che mi ricorda un tempo – ormai lontano – di bianche passeggiate.
Eravamo ancora due piccoli teppisti - io e il mio inseparabile amico G. - e ogni anno aspettavamo con ansia la grande nevicata in questa città di montagna solo per finta, insomma Trento, che disgraziatamente sorge ad appena 200 metri di quota sul livello del mare, dove anche i fiocchi di neve più caparbi fanno quasi sempre in tempo a trasformarsi in pioggia prima di arrivare al suolo.
Però ogni anno avevamo, con grande soddisfazione, la nostra nevicata. E poi arrivava lo spazzaneve. L'odiato spazzaneve (con annesso spargisale) che inghiottiva il manto bianco lasciando dietro di sé una poltiglia semi-liquida e marrone. Ma noi abitavamo in una strada privata ripida e sconnessa (il grande cruccio dei nostri genitori) troppo stretta per il passaggio dei mezzi pesanti, dove la neve rimaneva al suolo – udite udite – un paio di giorni in più. Così in quei giorni nevosi, al ritorno a casa da scuola, io e il vecchio G., scesi dall'autobus ci lasciavamo alle spalle la città sporca e bagnata e ci incamminavamo lungo la stradina, sognando la Siberia, dove l'inverno resta bianco per mesi interi. Erano anni in cui non avevamo nemmeno un tablet per dare forma ai nostri sogni che erano – quindi – molto più arditi e fantasiosi di quelli dei nostri figli.
Questa mattina – trent'anni dopo le passeggiate lungo la stradina – ho ritrovato la Siberia lungo l'Adige, dove il freddo della notte aveva conservato al suolo quei pochi centimetri di neve che quest'inverno avaro – bontà sua – ci ha concesso.
Dice la gente che la neve è bella, purché non cada in città dove causa solo disagi e disservizi. Lasciateli parlare, lasciate che stiano chiusi al caldo a protestare e infilate un paio di scarpe grosse per camminare – come il nonno di Corona con il nipote – affondando i piedi nella neve.
Però bisogna far presto: prima che arrivi il sole, prima che arrivi lo spalatore, prima che arrivi lo spazzaneve, prima che arrivi l'uomo del sale a minacciare il manto bianco (e rilassante, perché copre le brutture cittadine) che la Natura ci ha regalato.
Questa mattina Trento era Stoccolma, con il sole pallido e basso all'orizzonte a illuminare i marciapiedi bianchi. Poi ho tolto le cuffiette, giusto in tempo per sentire una signora barcollante protestare contro il Comune che non aveva fatto pulire i marciapiedi. D'incanto il Grande Nord è svanito, è scomparso pure il bosco dove seguivo, passo passo, le orme del nonno di Corona, cercando di sporcare la neve il meno possibile. E mi sono ritrovato a Trento.













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