CINEMA & MEDIA

Cosa ci dice "The Post" film sul giornalismo, il potere e una donna

La pellicola di Steven Spielberg sui “Pentagon Papers” racconta tantissime cose di un’epoca (gli anni ’70) e tante questioni di oggi


Paolo Mantovan


The Post” è un film sulla politica, sulla libertà di stampa, sugli anni ruggenti del giornalismo, su un’epoca pesante per gli americani: la guerra in Vietnam e gli anni della presidenza Nixon. È insieme un film che vuole dirci tante cose di oggi. Il regista Steven Spielberg ha voluto dedicargli tutte le sue energie (interrompendo un altro film in lavorazione) subito dopo l’elezione di Donald Trump. E anche questo è un elemento da tenere in considerazione. Perché al cinema entriamo pensando al 1971 e usciamo con un’idea precisa sul giornalismo e sul valore della libertà di stampa mentre c’è oggi un presidente Usa che attacca frontalmente i giornalisti quasi ogni giorno. E siamo anche nell’epoca in cui si discute di “fake news”, calati perfettamente in un clima di risentimento e di demolizione di qualsiasi istituzione. Ma anche in un periodo in cui, negli Usa, si agitano dossier Fbi, rapporti segreti, interferenze della Russia nelle elezioni Usa...

I PENTAGON PAPERS

Il film racconta la storia vera dei “Pentagon Papers”, 7000 pagine top secret del Dipartimento di Difesa degli Stati Uniti sui rapporti e le strategie del governo Usa con il Vietnam dal dopoguerra al 1967. Documenti raccolti da Robert McNamara, segretario della Difesa dal 1961 al 1968, con JFK e con Johnson. E nel 1971 quei documenti, sottratti e copiati, arrivano - mentre ancora infuria la guerra in Vietnam - alla redazione del New York Times che ne inizia la pubblicazione per poi essere bloccato da un’ingiunzione voluta da Nixon. È in quel momento che entra in gioco il Washington Post (The Post) e che si innesca la partita sulla pubblicazione da parte del giornale diretto da Ben Bradlee (interpretato da Tom Hanks). L’editore del Post è Katharine Graham (Meryl Streep) che è amica, da sempre, di Robert McNamara.

LE RELAZIONI UMANE

Su questo triangolo, i rapporti fra il direttore e l’editrice e fra l’editrice e l’ex segretario della Difesa si costruisce il vero film di Spielberg. Perché è qui, nell’indagine dei più profondi risvolti psicologici, che si gioca la vera partita.

Il thriller investigativo che è il telaio dell’intera pellicola è perfetto nella costruzione di Spielberg che, come sempre, sa creare una perfetta escalation e una straordinaria tensione nonostante si tratti di un fatto storico di cui si conoscono tutte le tappe nonché il “finale”. Ma è proprio nel confronto tra i personaggi principali (al di là dei dialoghi, di grande livello, brillanti e realistici al tempo stesso, figli di un’epoca e freschi insieme), personaggi calati in una stagione per molti versi a noi ormai già remota, che si sprigiona una sorta di tragedia greca, dove la vera protagonista, l’editrice Graham, è costretta a guardare nell’abisso senza esserne piegata. È qui che il film compie il suo balzo oltre la sua stessa trama, oltre la denuncia delle “bugie” del potere, oltre la forza di un thriller investigativo, oltre la proclamazione del principio della libertà di stampa, oltre ogni altra cosa che componga il film.

LA FOTO DI UN’EPOCA

È un film in costume (perché ormai costruire scenografie sui primi anni Settanta è fare film in costume) con le cabine telefoniche in serie sulle strade di Washington, le prime fotocopiatrici Xerox, i blocchetti metallici di piombo in tipografia, ma il personaggio di Katharine Graham “spacca” tutte le altre componenti. È l’unica donna nel suo consiglio di amministrazione, alla guida di un giornale che era del padre, padre che aveva lasciato il suo gioiello al marito di Katharine e che lei prende in mano solo quando rimane vedova. E lei, circondata da consiglieri i cui sguardi la attraversano quasi non avesse nulla da dire se non occupare una poltrona, raccoglie il senso del suo ruolo proprio in questo momento, nel momento in cui il giornale, appena quotato in Borsa deve vedersela con la pubblicazione dei Pentagon Papers. Tutto il mondo, all’improvviso, le finisce sulle spalle: il futuro del suo giornale, la libertà di stampa, il destino dell’America, gli amici potenti e, come non bastasse, il ruolo della “verità”.

UNA GRANDE DONNA

Non è solo tragedia greca è anche lo straordinario racconto di una donna che tiranneggiata dalla cultura maschilista (anche dentro se stessa, che si era vista in un mondo naturale, a crescere i figli mentre il marito dirigeva il “suo” giornale), tra mille timori e debolezze riesce a incarnare la forza e la volontà delle donne del Novecento di emanciparsi finalmente. È il racconto della vittoria di una donna, una vittoria che non le fa rinnegare il suo passato, perché è una donna che ancora sa circondarsi di uomini come consiglieri, una donna che vede oltre credendo in una cosa che tanti uomini del film non hanno: il coraggio. L’indagine sulle relazioni umane che appassiona Spielberg è quindi davvero l’aspetto decisivo del film. 

IERI E OGGI

Ma ci sono anche tre aspetti che possono provocare qualche reazione negativa al film.

Il primo è che la parte finale ad alcuni spettatori potrà risultare un po’ retorica. Ed in effetti c’è una sorta di grande trionfo accompagnato da immagini, zoom e anche parole (come la lettura della motivazione del verdetto della Corte Suprema declamata a tutta la redazione da una giornalista che la sta raccogliendo in diretta al telefono) talmente altisonanti che possono condizionare il giudizio sul film.

Il secondo è che l’immagine di Nixon è ridotta davvero a una macchietta. Certo, Nixon fu il presidente del Watergate (che nasce di lì a poco e che avrà proprio nel Washington Post il giornale dell’inchiesta) e appoggiò alcune delle più truci operazioni sotto copertura della Guerra Fredda (come il colpo di stato in Cile), ma Nixon è anche stato uno dei pochissimi presidenti (con Obama) ad avere umili origini (il ranch di famiglia fallì quando lui aveva nove anni) e quindi ad esprimere il “sogno americano”, l’unico presidente che si è davvero dimesso nella storia degli Usa, e soprattutto il presidente che riuscì a cambiare i rapporti con la Cina comunista e con l’Urss diminuendo il pericolo nucleare. Più che una macchietta, quindi, occorrerebbe immaginare una figura controversa. Nel film invece è un cattivo di Gotham City.

Il presidente Usa Richard Nixon spiega le strategie sul Vietnam

Il terzo punto riguarda il giornalismo. E un giornalista deve avere l’onestà di ammettere che è bellissimo vedere un film così, perché lo riporta alla radice della sua scelta, al senso della missione del giornalismo, l’essere cane da guardia “per i governati” (e “non per i governanti” come recita lo stesso verdetto della Corte Suprema sulla pubblicazione dei Papers) e lo fortifica nel suo ruolo sociale. Ma un giornalista deve raccogliere anche altri due dati. Uno esce direttamente da “The Post”: l’amicizia con uomini o donne di potere è troppo condizionante, sempre e ovunque. Il secondo è nel fatto stesso che siamo di fronte a un “film”: la realtà, comunque, è diversa. Soprattutto in Italia, dove la storia del giornalismo non ha grandi esempi di coraggio e di libertà paragonabili a quelli americani. E comunque il film “spacca” il mondo in due: da una parte la libertà di stampa, dall’altra il cattivo Nixon e le bugie sulla guerra. È facile lasciar scorrere il film senza pensare all’oggi, guardare una storia cristallizzata nelle magnifiche interpretazioni di Tom Hanks e di Meryl Streep. Ma provate a immaginare di sostituire Nixon con Renzi o con Berlusconi o con Di Maio. Provateci per un secondo. Accetteremmo di vedere tutto così semplificato? 

Infine i tempi. Ora anche il giornalismo analogico prende i tempi del giornalismo digitale. I tempi di reazione sono totalmente diversi, “la qualità che fa più redditività” è quotidianamente messa in discussione, nonostante sia un principio irrinunciabile. Siamo in un mondo diverso, inevitabilmente.

* * *

Meglio chiudere con una cosa bella (e nel film ce ne sono tante). Una frase di Katharine Graham: «Mio marito Phil diceva che una notizia è la bozza della storia».

 

"The Post" il trailer USA 

Un foto storica di Katharine Graham e Ben Bradlee all'uscita dal palazzo della Corte Suprema degli Stati Uniti nel 1971













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