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Cara Coop, così si arriva al "Sait Spa"

Dai grandi proclami sociali, alla spietata trattativa sugli esuberi: cosa succede se la cooperazione perde la sua anima
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di Paolo Mantovan


Quando s’aprono le porte del palazzo della Cooperazione, in via Segantini, mancano solo musiche celestiali, per il resto è come entrare in un piccolo paradiso dove vi accolgono cartelli che ricordano che la Coop contribuisce al miglioramento sociale delle persone. Salendo di piano i cartelli si fanno più insistenti e in cima, al piano della presidenza, par di udire cherubini e serafini che cantano: “la persona viene prima del profitto e del mercato!”. Ecco. Vi capitasse di tornarvi, ricordatevi che siete finiti dritti in un film di Fantozzi. Perché la vicenda Sait dimostra che la Coop sta perdendo il suo spirito.

Scusate, ma qualcuno ha mai immaginato che nel prendere la decisione di lasciare a casa più di cento persone il Sait (il glorioso Sait che ha trainato per decenni la solidarietà del consumo dalle città ai paesi in questa provincia), qualcuno ha mai immaginato che pretendesse di licenziare basandosi sullo “spirito d’iniziativa” dei suoi addetti? Cioè, la direzione del Sait ha buttato sul piatto delle trattative con i sindacati un “sottocriterio” (che amplifichi il criterio di legge delle esigenze tecnico-organizzative) che sarebbe “lo spirito d’iniziativa” del lavoratore. Cioè il Sait vorrebbe mandare a casa chi non gli va come lavora. Vuole valutare lo “spirito d’iniziativa”. Il Sait? La Cooperazione? Ma, scusate un attimo, se è così allora non stiamo parlando neppure di un’azienda normale, di un novello “Sait Spa”, ma stiamo andando oltre il cinismo di una multinazionale. Perché una multinazionale, almeno, quando arriva alle trattative, lo fa senza tenere in mano l’acqua santa, senza ammantarsi di straordinarie capacità di coesione sociale, ci arriva senza fronzoli e va subito al punto: siamo in crisi, dobbiamo tagliare; la nostra disponibilità alla ricollocazione dei lavoratori è questa, ecco i soldi per gli incentivi all’uscita, troviamo insieme, signori del sindacato, la più nobile via d’uscita.

E invece no. Il Sait in questa incredibile trattativa non solo chiede lacrime e sangue, ma propone di introdurre criteri che distinguano tra le persone. Cioè molto più pesantemente di quanto avviene nel “mercato” puro. E se non bastasse, occorre ricordare che in questa trattativa il Sait fino ad ora non ha messo in campo un vero piano di ricollocazione. Ehi, stiamo parlando della Cooperazione che, tutt’intera, ha un bacino di ventimila addetti. Fino a quando si trattava di annunci, di dichiarazioni di principi universali, si è sempre fatto intendere che l’assorbimento attraverso qualche altra cooperativa o qualche altro consorzio si sarebbe sempre trovato, ma quando è scoppiato il bubbone e si è passati alla mano pesante degli esuberi, i vertici cooperatori hanno fatto sapere ai sindacati che quelli erano dei protocolli generali, che, per l’appunto, non valgono nello specifico. La cosa più amara, però, è che la Cooperazione in questa vicenda del Sait pretenderebbe addirittura che il “sistema” trentino le si stringesse attorno, che i sindacati venissero a miti consigli perché loro rappresentano la Santa Cooperazione! Lo dimostra il tono con cui il presidente della Federazione delle Cooperative risponde all’assessore Olivi che aveva osato ricordare alla Coop che così perde la sua reputazione. “Ma come? Noi? Con quello che abbiamo fatto per il Trentino? E poi vogliamo parlare sì o no di produttività?”. Ecco: “produttività”, ossia il nuovo cartello che troverete da oggi in via Segantini. Sulla produttività, per l’appunto, il Sait si è trovato impreparato e in ritardo. Certo, la produttività lo sappiamo tutti molto bene che cosa è. Questi anni ce lo hanno insegnato. Ma sulla produttività è necessario giocare ciascuno con le proprie carte. La Cooperazione ha una responsabilità sociale. Lo deve ricordare, altrimenti essa stessa non ha più senso. Non è un territorio franco per farsi dare un’aureola e poi sfruttarla – con costi sociali – per vincere sul mercato. O si è coop o non si è.

Tempo per cambiare atteggiamento ce n’è, la trattativa non è finita. I sindacati e i lavoratori sanno che sono necessari dei sacrifici. Ora spetta alla Cooperazione fare la sua parte vera. Tornare sui suoi passi. Dimostrare che c’è un motivo per cui la sua storia è il Sait, che c’è un motivo se si chiama Cooperazione.













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