professioni

Maria, la calzolaia che si prende cura di scarpe e borse “come una volta”

Lavora manualmente: «A volte i clienti preferiscono comprare un paio di scarpe nuove, piuttosto che riparare»


di Daniele Peretti


TRENTO. Maria La Giorgia è la parte meno nota della Calzoleria Da Alcide di Vicolo all’Adige. Il marito è stato più volte intervistato, il figlio Alessandro è stato uno dei protagonisti del documentario Labor Story dove si raccontavano le vite lavorative degli artigiani di antichi mestieri, ma per Maria nulla. E dire che dal 2002 si è inventata un lavoro pur di dare un contributo all’azienda di famiglia appena nata, facendo anche la mamma di tre figli.

La possiamo definire una sarta delle scarpe? Non al 100 per cento, ma lo possiamo dire. Mi sono diplomata sarta alle Canossiane perché mia mamma mi aveva imposto questa professione che per la verità non ho mai fatto, ma che mi è servita molto quando abbiamo aperto la calzoleria.

Perché non ha mai lavorato da sarta? Non mi piaceva, semplicemente. Per cinque anni ho fatto l’assistente domiciliare, per due anni ho lavorato in un panificio, ho fatto pulizie e poi mi sono inventata un lavoro.

In che senso inventata? Nel senso che mio marito dopo essersi fatto un nome negli allora “tacco svelto”, i servizi che erano proposti solo all’interno dei grossi negozi – a Trento ha lavorato alla Standa e all’Upim – ha deciso di mettersi in proprio. Aveva bisogno di una mano, non potevo certo tirarmi indietro. Così lei... Ho deciso di mettermi a cucire le scarpe, le borse, vedendo cosa fare con tutto quello che entrava in negozio ed ho cominciato così. “Gasandomi” un po' potrei dire che si offriva un servizio in più alla clientela.

Cosa cambia tra cucire il tessuto e la pelle? Cambia tutto, sono due cose completamente diverse. Cominciamo dal fatto che sul tessuto prima si imbastisce e quindi si può correggere, se fai un errore, i buchi dell’ago sono talmente piccoli che l’errore non si vede e lo si copre andandoci semplicemente sopra. La pelle invece non perdona, se sbagli anche solo di poco, si vede e rischi di rovinare tutto.

Chi le ha insegnato? Nessuno e qui viene il bello. Quando parlavo di questa mia idea con colleghi e rappresentanti, tutti mi dicevano che se avessi deciso di farlo per davvero, mi avrebbero insegnato. Ma quando mi sono convinta sono scomparsi tutti, quindi quello che so fare l’ho imparato da autodidatta, provando prima con le cose di casa e poi con i clienti amici.

Una bella avventura, adesso è soddisfatta? Aspetti, perché non è finita. Non ho avuto nemmeno il tempo d’imparare sulla scarpa tradizionale che il mercato è cambiato. Sono arrivate le scarpe da ginnastica come calzatura più diffusa, con l’ aumento di plastica e colla al posto di cuoio e pelle e poi sono entrate in gioco calzature nuove, come quelle tecniche e le sneakers e ho dovuto imparare tutto un’altra volta.

Tra tante difficoltà, una soddisfazione? L’ammirazione delle persone ed il loro apprezzamento verso il mio lavoro. L’anno scorso ho vissuto un anno molto difficile e sono stata costretta a non andare in negozio per cinque mesi. Quando sono rientrata, a dicembre, i clienti hanno iniziato a portarmi le cose che avevano tenuto a casa senza andare da qualche altro calzolaio. A gennaio c’è stato chi è passato solo per vedere se ero tornata e poi mi hanno portato i lavori. È proprio vero che il detto “chi semina raccoglie”, non è un luogo comune.

Al contrario, una delusione? Mettere l’anima in un lavoro che poi non risulta come avrei voluto. Poi ci sono i clienti mai contenti che portano una cosa demolita pretendendo che gliela restituisca nuova. Ma sono anch’io che alle volte accetto lavori impossibili che dovrei rifiutare ed invece, cocciuta come sono, li accetto. Proprio in questi giorni sto sostituendo la stoffa di una borsa, un lavoro per il quale mi manca l’attrezzatura, ma non mollo. Faccio tutto a mano, ci metterò il doppio del tempo, ma devo farcela.

Il mercato è cambiato, richiede nuovi investimenti? Li richiede e li dovremmo valutare. Mio figlio Alessandro, che ha preso in mano l’attività dopo che mio marito Alcide è andato in pensione, ha 35 anni e ha deciso che questo sarà il lavoro della sua vita: per farlo ha abbandonato una carriera da cuoco di alto livello. Ci fa qualche esempio? Sono sempre di più le scarpe che non si possono cucire. Alcune si possono incollare, ma per farlo ci vorrebbe un macchinario particolare che non abbiamo. Il cliente, però, decide se riparare o meno dopo aver fatto un raffronto tra il costo della riparazione e quello di una scarpa nuova e quasi sempre sceglie la soluzione più economica: la scarpa nuova. In Alto Adige per una cucitura cuoio pelle chiedono non meno di 100 euro, a Trento sono troppi 50...difficile a quel punto riuscire ad ammortizzare un macchinario nuovo.

C’è un lavoro che non fate? Sì, la pulizia delle scarpe. Sa quanta gente ci chiede la classica lucidatura con crema e spazzola? Non la sa più fare quasi nessuno e tanti non hanno nemmeno gli elementi base per riuscirci. È venuta a mancare la tradizione della scarpa della festa che curavi, difficilmente ne avevi più di una e aspettavi con ansia di metterla. Adesso tutti hanno fretta e indossano la prima cosa che capita, altro che eleganza.

Come s’immagina il futuro? Da mamma lo vedo per i miei figli, ne ho tre che considero le mie tre perle preziose che vorrei vedere felici e realizzati. Tutti dobbiamo lavorare, ma poter fare ciò che piace è la cosa più bella.













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