L'incontro

Buffa fa vivere la magia dello sport

Pienone a Trento per il celebre giornalista e narratore. «Il calcio oggi è arido, preferisco guardare al passato»


di Daniele Erler


TRENTO. Per spiegare il “fenomeno Federico Buffa” - secondo una definizione che a lui probabilmente non piacerebbe - bastava ieri guardare la sala del cinema Vittoria a Trento. Ogni poltrona occupata, già mezzora prima dell’inizio della conversazione con il giornalista Carlo Martinelli. Molte altre persone poi in piedi, ad affollare anche il piano rialzato del cinema. Soprattutto giovani, molti universitari. Lo stesso pubblico che segue normalmente Buffa, non solo in televisione ma anche in teatro. «Con i giovani il bello è che si crea una simbiosi fra chi è sul palco ed il pubblico - ha detto ieri - Si fidano di te, è come se ti affidassero un valore, come se ti dicessero: “io mi fido di te”. Ed ogni volta è come una moneta, che porto in tasca con me».

Ciò che attrae in Buffa è la capacità naturale di far rivivere il lato più romantico ed epico dello sport. Con una naturalezza che è la stessa di altri luoghi del mondo. Per esempio nell’Argentina di Maradona, dove «l’amore per il calcio è la cosa più importante dopo il calcio stesso», come ha detto ieri. Al di là della «poetica ingenuità» di chi è tifoso, gli addetti al lavoro - ha spiegato ieri Buffa - sanno come ormai il calcio moderno abbia perso gran parte del suo fascino più autentico. «Quello del calcio è un mondo arido, in cui tutti traggono un profitto: una grande industria, che offende l’idea del gioco in senso stretto - ha detto Buffa -. I calciatori oggi sono colmi di quella polvere di stelle che li allontana dal pubblico che li segue».

Sono altre storie, quelle che Buffa racconta. Sono le gesta del grande Torino, del calcio italiano “prima di Superga”. Ferenc Puskás o Di Stefano. O ancora dell’Nba di Michael Jordan, giusto per citare alcuni degli esempi ripresi ieri. Vivere lo sport con il gusto particolare del narratore, una sfumatura che Buffa ha reso personale con il tocco delle sue parole. «Non sono un nostalgico, ma ho molta più facilità a guardare indietro nel tempo rispetto a ciò che accade ora - ha spiegato - Per me è stato faticoso, per esempio, raccontare le storie di Paolo Maldini e ancor più di Cristiano Ronaldo. Lo sport del passato ti permette di raccontare le vicende in maniera diversa. La dittatura del presente è invece un po’ ossessiva».

Anche ieri la conversazione con Carlo Martinelli - voluta dalla Fondazione Cassa Rurale di Trento - è stata una chiacchierata appassionata. Vari spunti a partire ovviamente dallo sport. Passando poi dal giornalismo, con i ricordi del primo articolo di pallacanestro, consegnato ad Aldo Giordani. «Quando uscì quell’articolo, io scrissi sul mio diario: “Cos’altro potrò mai fare di più nella mia vita?”».

Poi ancora i ricordi dei viaggi, una passione autentica ereditata dal padre. E il teatro, con l’esperienza del racconto delle Olimpiadi del 1936, in un tour che ha toccato pure Trento. «La verità - ha detto - è che quando sali sul palco ti emozioni ogni volta, sei alimentato da una forza che non riesci a definire, ma che c’è e ti fa venir voglia di non smettere più».

Fra i tanti aneddoti, anche uno legato a Trento. Prima di studiare giurisprudenza, Buffa fu tentato dall’università di sociologia. «Lo dissi a mia madre durante un pranzo - ha ricordato -. Lei non mi rispose. Mi tolse solo la carne dal piatto e mi mise due uova. Io le chiesi perché. Lei mi rispose: “Devi abituarti, questo è ciò che riuscirai a mangiare, con una laurea in sociologia».

Ironia che fa parte del personaggio. La passione invece è l’aspetto forse più autentico, la chiave interpretativa che sta dietro anche al suo successo con i giovani. L’imprinting, come ha ricordato ieri, che ha sviluppato da bambino. Quando giocava a calcio ai giardinetti di Milano, con la maglia da portiere di Mario Barluzzi. E il cumulo di sogni che solo lo sport più vero porta con sé.













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