Sul binario dello speck

Il Freccia Argento, un trolley e le «pezze» da regalare


Rosanna Bragagna


Puntuale alle 17.30, la Freccia Argento chiude i suoi portelloni: si mette in moto. Ho sistemato il trolley sulla reticella, ormai ho abbastanza esperienza per sapere che se non voglio che la valigia mi rimanga tra i piedi per tutta la durata del viaggio, non devo esagerare nel riempirla. Chi ha arredato le carrozze, ha deciso che bisogna viaggiar leggeri, che è utile portarsi lo stretto necessario, liberarsi del superfluo se si vuole giungere a destinazione senza stress; potrebbe essere la metafora della vita stessa.

Partenza soft dalla stazione di Trento, pensilina non troppo affollata, il mio posto è un singolo, me ne sto in pace, posso allungare le gambe. Tutto il contrario di quello che è successo qualche giorno fa; partenza in massa, tutti lo stesso giorno e treni pochi, quindi una folla immensa che ha dato l'assalto ai vagoni, scene da Far West. Fuori il paesaggio invernale si intravede ancora ma, fra poco, l'oscurità avvolgerà tutto. Peccato che la neve, caduta copiosa all'inizio di dicembre, sia poi stata sciolta dalle piogge dei giorni successivi, l'avrei calpestata volentieri. Sono volate queste giornate di vacanze natalizie. Ora però sono contenta di ritornare a casa, a Roma.

Sono stata bene con i miei familiari, il Trentino è sempre nel mio cuore però, dopo un po' (credo capiti a tutti) la nostalgia della propria casa, delle proprie cose, ti permette di lasciare tutti e tutto senza troppo dolore. Mi hanno appena servito il the con biscotti, coccole della prima classe. Ho un sacchetto di stoffa gialla oltre alla valigia, mi serve per portare alcuni pezzi di speck che ho comprato, alcuni su commissione, un paio da regalare. Menomale che sono sigillati sotto vuoto altrimenti tutto qui intorno profumerebbe (per qualcuno puzzerebbe) come una salumeria.

Ormai le persone a cui sono destinate queste specialità sanno che non torno a mano vuote, lo faccio volentieri e inoltre per me è l'opportunità di ringraziare chi durante l'anno mi ha fatto dei favori.

Questo che porto con me è speck industriale, comprato dal macellaio, è buono, ma niente a che vedere con quello contadino che il mio papà preparava ogni autunno. Ricordo che insieme ad altri andava a comperare i quarti di maiale, successivamente li tagliavano in tranci (le pezze), queste venivano cosparse di alloro, grani di ginepro sale e pepe, il passaggio successivo consisteva nel sistemare i tranci così preparati in mastelli, dove dovevano rimanere in concia a lungo.

Trascorso il tempo di salamoia questa carne veniva portata in un locale dove subiva il processo di affumicatura. Mio padre e questi suoi compagni di traffici, eseguivano questo lavoro in una camera dell'antico castello di Monreale che domina la Piana Rotaliana; si procuravano la legna di abete e rami di rosmarino per profumare l'affumicatura delle carni.

Ora non credo che quella di usare una stanza dell'antico maniero sia stata un'idea felicissima, ma questa era una consuetudine consolidata nel tempo.

Mi son trovata in quella stanza nera non molti anni fa, l'occasione è stata la visita alla mostra "Abies e Vento" un lavoro a due di Paola de Manincor e SerenaValenti, la prima pittrice la seconda scrittrice.

Le due artiste realizzarono un evento fantastico, creando una favola ambientata nell'antico castello e dipingendone le tavole che la raccontavano su lastre di intonaco di calce, arricchite da tessere di mosaico.

Nella favola ad un certo punto si narra "...E' la malinconia dell'Anima di un uomo, che sta ancora maledicendo mille pareti, nere di fumo e dolore. Su quell'intonaco arso, mille sospiri di vita, un tempo profumata di accattivante gusto di carne, ora soffocato, senza lacrime, tra i lacci di mille fiamme, su mille fuochi."

Leggere queste parole mi fu di aiuto a superare l'imbarazzo che provai entrando in quella stanza odorosa di carni affumicate, che sembrava esser lì a testimoniare la consumazione di riti barbarici e che qualcuno della mia famiglia ne aveva avuto parte. Trovare nero su bianco la narrazione di quelle consuetudini, sembrava nobilitarle, mi rese convinta che era cosa risaputa e nessuno aveva fatto niente per impedirne lo svolgimento. In seguito mio padre si stufò di questo impegno e lo speck lo comprò bell'e pronto dal macellaio. Ora, sono rare le persone che producono lo speck in proprio e in ogni caso non lo fanno per venderlo, ma per gustarlo in famiglia e farne ricco dono a pochi amici.

Il dondolio del treno e il lasciarsi andare nei ricordi mi ha fatto assopire e così, senza neanche accorgermene, sono già alla stazione di Bologna.













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