Whirlpool caso modello «Salvo» un addetto su due

Nel resto d’Italia solo il 18% dei disoccupati trova di nuovo una collocazione alla fine dell’intervento, che a Trento ha sfruttato i finanziamenti del Feg


di Gilda Fusco


TRENTO. Il progetto di ricollocazione dei lavoratori della vecchia Whirlpool è un modello da imitare, lo dicono i risultati: a due giorni dalla chiusura dell’intervento avviato nel 2014 con il coordinamento dell’Agenzia del Lavoro e con i finanziamenti elargiti dal Feg (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione), il 52% delle 608 persone che a seguito della chiusura dell’azienda avevano perso il lavoro risultano attualmente occupate (163 con contratto a tempo indeterminato). Se il dato può sembrare basso, è il caso di confrontarlo con i risultati ottenuti nel resto d’Italia in situazioni analoghe: mediamente, a fine intervento, solo il 18% degli “espulsi” dal mercato del lavoro riesce a trovare una collocazione; e solo dopo 12 mesi la percentuale cresce fino a raggiungere il 46%.

Ma cos’è che ha reso i risultati trentini così marcatamente positivi rispetto a quelli del resto d’Italia? «Aver definito da subito un piano sociale di nuova concezione, attuato anche grazie alla maturità dimostrata dalle parti sindacali, ha consentito di fare leva sulle politiche attive di ricollocamento anziché limitarsi alle solite politiche passive di contenimento dei danni» ha detto, a grandi linee, Luciano Galetti (Direttore dell’Ufficio Risorse dell’Unione Europea). «Il punto è che non esistono ricette valide per ogni occasione, e la forza del “modello Whirlpool” è stata proprio quella di basarsi su un “sistema a geometria variabile”: oltre a delle tappe obbligate comuni a tutti i lavoratori, erano previsti percorsi alternativi pensati per trovare le soluzioni più adatte ad ogni persona». L’altro punto forte è stato quello di essere riusciti ad elaborare una politica del lavoro e una politica industriale che hanno lavorato in sinergia per avviare una nuova azienda manifatturiera nel sito della ex Whirlpool: «all’interno del percorso di ricollocamento sono stati attivati dei corsi di formazione specialistica che hanno consentito di ricollocare nella nuova azienda più di 120 persone».

Quello che emerge, è che il Feg è uno strumento con un alto potenziale che raramente riesce ad essere sfruttato: è complesso da gestire, ma al tempo stesso offre un’ampia flessibilità. «Le parti sociali hanno lavorato insieme all’Agenzia del Lavoro in una continua progettazione e verifica degli obiettivi e dei risultati – ha spiegato Salomone (presidente dell’Agenzia del lavoro di Trento) – e questo perché la progettazione per ricevere i finanziamenti Feg consente di lavorare in un processo “dal basso”, focalizzato sulla comunità di riferimento e sui soggetti coinvolti».

Unico dubbio, a questo punto, resta l’effetto che la riforma del mercato del lavoro (il cosiddetto “Jobs Act”) potrebbe avere su questo strumento: «C’è da sperare che il ruolo che svolgerà la neo-nata Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro non sia troppo invasivo e ingombrante, mettendo a rischio quella progettualità dal basso che consente di elaborare soluzioni su misura».













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