«Covid e cambi climatici sono fenomeni collegati» 

Amitav Ghosh. L’antropologo indiano al Festival avverte: «Si tratta di una concatenazione frutto dell’accelerazione pazzesca del mondo in questi decenni. Sarà fondamentale l’equità»



Trento. Alterna romanzi e saggi ed è ritenuto da una buona parte della critica «il più grande scrittore indiano contemporaneo in lingua inglese».

Con altro termine, si potrebbe definire un cosmopolita per frequentazioni, formazione e residenze, vivendo tra New York e Goa. Per capire, basti il titolo della sua tesi di dottorato (ha studiato ad Oxford) in cui si è occupato dei rapporti di invidia in un villaggio egiziano dell'Alto Delta. Magari avrà aiutato, oltre alla predisposizione, alla curiosità e al talento, che già basterebbero, anche l'essere figlio di un diplomatico. Comunque sia, Amitav Ghosh, nato nella megalopoli Calcutta e cresciuto tra India, Bangladesh, Sri Lanka ed Iran, antropologo e giornalista, pure corrispondente del prestigioso New Yorker, nel suo ultimo saggio, “La grande Cecità: il cambiamento climatico e l'impensabile” (Neri Pozza), è andato ad analizzare uno dei tempi di maggiore attualità, in qualche maniera “la madre” di tanti dei problemi che il genere umano si trova davanti e di cui è in gran parte responsabile. Anche perché, secondo l'antropologo, la situazione dannatamente seria nella quale ci troviamo “immersi” è andata ad intaccare “forse il più importante concetto politico dell'era moderna: l'idea di libertà”.

Senza contare “il carico da novanta” del Covid che qualche serio problema in più, pure dal punto di vista delle libertà individuali, l'ha determinato. E l'intellettuale indiano mette subito al centro del proprio intervento la correlazione tra pandemia e cambiamenti climatici. “Sono fenomeni concatenati, frutto dell'accelerazione pazzesca del mondo in questi decenni – afferma – Non è che uno escluda l'altro, anzi”.

Va più in là Ghosh. Per dire che il fattore più impattante sulla vita di milioni di esseri umani è un altro. “Sono le diseguaglianze sempre più forti l'elemento predominante – sostiene – anche all'interno dei Paesi ricchi o presunti tali. Penso ad esempio agli Stati Uniti o al Brasile. Ma anche ad altri”.

L'antropologo cita la teoria della “scialuppa armata” avanzata da uno studioso del passato. Per dire che “di fronte alla minaccia del clima i Paesi più ricchi, che da milioni di poveri che migrano sono visti come un'ancora di salvezza, cercano di fare di tutto per non farli salire a bordo. Penso, ad esempio, all'Australia. Il futuro non sarà uguale per tutti i Paesi ricchi. Solo quelli super benestanti riusciranno a “difendersi”, diciamo così. Molti altri, invece, affonderanno”.

Lo studioso poi sfata un’altra delle narrazioni che vanno per la maggiore. E cioè che la pandemia nei Paesi più poveri abbia fatto danni incalcolabili e migliaia e migliaia di morti proprio perché queste nazioni non avevano i mezzi per affrontare il virus “Penso – afferma – ad alcuni Stati africani che sono invece riusciti ad affrontare l'epidemia con buoni risultati. L'idea che i poveri siano comunque destinati a soffrire sempre e comunque più dei ricchi non funziona sempre. Il Covid ce l'ha insegnato”.

“Il fattore dirimente – prosegue l'antropologo indiano – sarà comunque, qui ed ora, non nel futuro, quello dell'equità e della distribuzione del potere. Ma anche quello dell'idea di libertà che noi abbiamo in presenza di una sempre maggiore scarsità di risorse. Inutile nascondersi, i cambiamenti climatici ci impongono dei limiti ed è ora che ci rendiamo ben conto che quello che sta succedendo, compreso il virus, è correlato. Tutti questi fenomeni e queste manifestazioni non sono aspetti indipendenti uno all'altro”. Insomma si deve fare di tutto per innestare la marcia indietro. PA.PI.

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