Tommaso Gallarati Scotti e “L’ora delle tenebre” 

Storia e memoria. Nel nuovo libro di Diego Leoni e Irene Tessaro, i “carnets di guerra” Impietoso il giudizio su Cesare Battisti: “In lui non si intravedeva il grande politico”


Paolo Piffer


Trento. “Mi dava l’impressione di un uomo profondamente malinconico e anche un po’ sfiduciato. Egli aveva sospinto alla guerra credendo assai più facile il successo. Sentiva forse la responsabilità, non era venuta meno la fede”. Fin qui considerazioni di carattere psicologico. Più avanti un giudizio tagliente e perentorio. “Credo che la sua morte sia stata per lui una grande fortuna. Sopravvissuto alla guerra il suo significato nel Trentino si sarebbe rimpicciolito a quello di uomo di parte. Non mi pare ci fossero in lui gli elementi del grande politico”. E ancora più sotto una chiosa quasi “riparatrice” di tanta precedente ruvidezza. “Era un animatore e precursore. Fu anche un soldato. Nel suo stesso aspetto fisico, vi era il segno di un fervore un po’ aspro, ma virile”. Nero su bianco sono le considerazioni su Cesare Battisti appuntate, sorta di “fuoco amico”, nei taccuini di Tommaso Gallarati Scotti, ufficiale italiano pure lui, come il socialista trentino impiccato per alto tradimento dagli austriaci durante il primo conflitto mondiale nella Fossa del castello del Buonconsiglio a Trento il 12 luglio 1916. Taccuini inediti pubblicati ora dalla casa editrice Donzelli in “L’ora delle tenebre. Carnets di guerra 1915-1918” per la cura dello storico roveretano Diego Leoni insieme alla ricercatrice Irene Tessaro. Un giudizio “impietoso”, commenta Leoni che era venuto in possesso del materiale qualche anno fa, mentre lavorava a quel grande affresco sul primo conflitto mondiale che è “La guerra verticale”. Il milanese Tommaso Gallarati non era un ufficiale “qualsiasi”. Braccio destro del generale Luigi Cadorna (“sorpreso” dall’offensiva austro-tedesca di Caporetto e per questo sostituito dal pari grado Armando Diaz), origini nobili, amico e biografo di Antonio Fogazzaro (l’autore di “Malombra”) era un cattolico modernista. Durante il conflitto operò anche sul fronte trentino. Nel secondo dopoguerra fu ambasciatore a Londra, nominato dal governo presieduto da Alcide Degasperi, era il 1947, ed entrò in collisione frontale con lo statista trentino sulla questione del ritorno di Trieste all’Italia. «Sarà proprio questo nodo a creare un’insanabile frattura tra Gallarati Scotti e Degasperi che si risolverà nelle dimissioni da ambasciatore», sottolinea Leoni. Gli appunti su Battisti trovarono posto nel diario dell’ufficiale (un carnet composto da sette taccuini che ovviamente contiene molto altro) ben dopo il 12 luglio. Portano la data del 29. Sono quindi ponderati, non affrettati. «Poi nient’altro, mai, nel corso della guerra – scrive lo storico – In seguito, il cattolico milanese e la vedova Battisti (Ernesta Bittanti, ndr) si scrissero, nel 1943 si incontrarono in esilio, talvolta egli le fece visita a Trento». È piuttosto sorprendente quanto riportato da Gallarati Scotti in un suo articolo del 1961 pubblicato dal Corriere della Sera che rievoca, anche, l’ultimo incontro con Ernesta Bittanti prima della sua morte, sopraggiunta il 5 ottobre 1957. “Mosse un momento la spalla destra e tirò fuori dalle lenzuola il braccio scarnito – scriveva Gallarati Scotti sul Corriere – Poi con solennità grave, portò la mano verso la fronte, la fece discendere sul petto e compì il gesto della crocifissione”. Tanto da far commentare a Leoni: “Lei, da sempre laica e socialista, stoica e testimone della “religione del dovere”; Lei convinta che “la Croce fosse diventata nei secoli uno strumento e un simbolo di arresto della libertà e del progresso civile”; Lei, “donna degna in tutto del nostro Risorgimento, alla cui storia suo marito appartiene come una delle figure maggiori nel sacrificio eroico””.













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