«Ho il sospetto che stavolta i no-vax si faranno vaccinare» 

Intervista a Giorgio Vallortigara. Il neuroscienziato alle prese con l’emergenza pandemia Stop alle ipotesi fantasiose «Questo nuovo virus è passato da un animale alla specie umana» «Bisogna risalire a monte dell’emergenza, al nostro rapporto distorto col mondo animale»


Sandra Mattei


Trento. In un ecosistema malato, non possiamo vivere in salute. E' una delle affermazioni più frequenti che sentiamo ripetere in questi giorni di pandemia da Covid – 19, conseguenza di quella che sembra ormai accertata come la causa scatenante: il salto di specie, provocato dalla cattura di animali selvatici che nei mercati cinesi si trovano in promiscuità con l’uomo (il cosiddetto “spillover”). Giorgio Vallortigara, neuroscienziato, professore dell’Università di Trento ed autore di numerosi libri ed articoli su prestigiose riviste, da anni studia i meccanismi del cervello in una prospettiva di tipo comparativo e il modo in cui ci relazioniamo con gli altri animali. Chiediamo al professore come sta vivendo questo drammatico periodo e che riflessioni può condividere con noi.

Lei ritiene attendibile la tesi che il coronavirus si è diffuso per un salto di specie, da un pipistrello all’uomo attraverso un animale, forse il pangolino, particolarmente ricercato dalla popolazione cinese?

In tutte le zoonosi un patogeno fa un salto da un animale a un essere umano dove si installa come un agente infettivo. Le diverse specie animali sono portatrici ciascuna di patogeni unici e peculiari, agenti che sono causa di malattie, come certi virus. Quindi, sì, certamente è avvenuto un trasferimento da un’altra specie animale alla nostra, che si trova adesso ad affrontare un virus nuovo. La ragione per cui è importante capire le origini dello spillover è che spesso i virus si annidano in una specie che fa da serbatoio, ospitando cioè il virus senza riceverne danni gravi.

C’è un rapporto quindi tra l'uso distorto che l’uomo fa degli animali: allevamenti intensivi, sfruttamento per presunte loro qualità terapeutiche, caccia e commercio di specie protette e il coronavirus?

Certamente perché tutte queste attività, quando sono condotte su larga scala, offrono maggiori possibilità ai virus di trasferirsi dagli animali selvatici alla nostra specie. Ciò vale in particolare per i virus che se ne stanno come ospiti in specie serbatoio, una condizione che è favorita da un’elevata biodiversità e che viene meno quando l’ecosistema è turbato.

L’altra faccia della medaglia è il ruolo che gli animali domestici hanno al giorno d’oggi, diventati surrogati dei rapporti umani contro la solitudine, antropomorfizzati. È un rapporto corretto?

Il nostro rapporto con gli altri animali è complicato. Li mangiamo e ci giochiamo, li usiamo nei laboratori e li sfruttiamo negli allevamenti, ci fanno compagnia… Nel nostro Paese al gran numero di «amanti degli animali» purtroppo non corrisponde una grande conoscenza naturalistica di base, come ad esempio nozioni anche elementari sulle caratteristiche e il comportamento dei nostri animali d’affezione. Per certi aspetti questo è un sottoprodotto della perdita del contatto diretto con gli animali che era caratteristico della società contadina, ma anche dello stigma che oggi viene assegnato all’attività venatoria o di pesca (mi capita di far osservare ai miei studenti come un buon cacciatore o un buon pescatore sia spesso un eccellente etologo, che sa di comportamento animale molto più di tanti generici amanti degli animali). C’è inoltre un eccesso di antropomorfizzazione, l’idea ingenua che le altre specie si comportino e sentano come ci comportiamo o sentiamo noi. Soprattutto c’è una categorizzazione dicotomica sbagliata quando si parla di «noi e gli animali». Quali animali? Noi pure siamo animali (altrimenti non saremmo soggetti alle zoonosi). E per quel che riguarda gli «altri» animali: di chi stiamo parlando esattamente? Del cane? Del pidocchio? Della trota? Perché gli animali delle varie specie sono molto diversi tra loro, e bisognerebbe riferirsi a ciascuno con cognizione di causa.

Cambierà l’atteggiamento delle persone nei confronti dei vaccini e sperimentazione animali?

C’è da augurarselo. In questi giorni è diventato chiaro a tutti quanto sia importante per lo sviluppo di un vaccino la fase della sperimentazione animale. Sospetto che nessun militante no-vax rinunzierà al vaccino per il corona-virus quando ci sarà. Anche i militanti animalisti più estremi sono silenziosi in questi giorni. Tutti i farmaci che possediamo passano dalla sperimentazione sull’animale. Ma, soprattutto, è bene ricordarlo, tutte le nostre conoscenze biologiche più importanti le dobbiamo all’uso dei modelli animali.

Come si sta vivendo in un’istituzione come l’università questa emergenza?

Con professionalità e impegno attivo. Sia nei confronti dei nostri studenti (ai quali offriamo le nostre lezioni in remoto) sia nei confronti della comunità tutta: le istituzioni più direttamente coinvolte nella ricerca biomedica come CIBiO, CIMeC, Psicologia, Fisica sanitaria e molti altri dipartimenti e colleghi sono direttamente impegnati chi nella ricerca, chi nei servizi a fornire un sostegno fattivo. E ciò vale naturalmente non solo per l’università, ma per l’intero sistema della ricerca trentina (FBK, Fondazione Mach, eccetera).

In definitiva, cosa ci può insegnare l’epidemia del covid – 19?

Che siamo fragili, come specie, più di quanto supponevamo, lo siamo perché legati alle altre specie: animali tra altri animali. E che dobbiamo tenere alta la guardia e capire quali sono le voci di spesa davvero importanti per una società democratica avanzata: in particolare, il sistema sanitario e quello della ricerca. Su quest’ultimo mi faccia raccontare una battuta perfida che è circolata in questi giorni su Twitter. Recitava così: «Avete dato un milione al mese ai calciatori e 1300 euro ai biologi ricercatori. Adesso fatevi curare da Ronaldo.» Come tutte le battute semplifica la realtà dei fatti (di quelli economici senz’altro, perché è evidente che i compensi dei calciatori rientrano nella logica della domanda e dell’offerta, ed è inutile fare moralismi su questo). Al contempo è nelle mani di politici e amministratori (e di chi li ha votati, i cittadini) la scelta su come investire le risorse.

Lei è ottimista, pensa che l’umanità farà tesoro di quest'evento drammatico?

Per temperamento lo sono. In questi giorni di tempesta, virologi ed epidemiologi sono le star dei programmi televisivi e dei giornali. Però varrebbe la pena ascoltare quel che dicono gli scienziati anche nei giorni di bonaccia. Staremo a vedere.

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