«Cerchiamo i segreti del supervulcano in cui oggi abitiamo»

Scienza e ambiente. Il paleontologo Massimo Bernardi racconta l’ambizioso progetto Un network interdisciplinare scandaglierà per due anni e mezzo la Megacaldera di Bolzano  Coinvolti Muse di Trento, Museo di Scienze di Bolzano, Cnr, Università di Innsbruck e di Padova


Elisa Tessaro


TRENTo. Immaginiamo di viaggiare indietro nel tempo, fino a 280 milioni di anni fa. Immaginiamo - per un attimo - di solcare il tratto di cielo sopra quella che oggi è Bolzano, e di vedere, guardando in giù, non i tetti, le guglie l’intrico di vie della città vecchia, ma una landa piatta, solcata qua e là da fiumiciattoli e laghetti. Ai bordi di questi corsi d’acqua, la vita. Potremmo anche scorgere i profili aguzzi di antichissime conifere, le foglie molto più grosse, in grado di trattenere l’acqua, le radici profondissime, per pescare nutrimenti nella profondità del terreno. Sotto queste piante, fra le felci, gli equiseti e le licofite - piante che ricordano il nostro muschio, ma molto più grandi - al riparo dai raggi di un sole tropicale, i profili di piccoli anfibi e rettili, oggi, completamente estinti.

I grandi dinosauri arriveranno molto dopo, nel Triassico. Per ora, in quello che gli studiosi chiamano Permiano inferiore, il mondo appare così.

È dedicato a questo frammento di vita sulla Terra, della durata di quindici milioni di anni, e in particolare a un grandissimo vulcano, lo studio messo in campo da un team di ricerca multidisciplinare che per due anni e mezzo scandaglierà uno spazio di 60 chilometri che corre fra l’Alto Adige e il Trentino.

La Megacaldera di Bolzano.

Sotto i nostri piedi, si trova infatti uno dei più grandi vulcani mai esistiti sulla Terra, che si estendeva a nord, fino a Merano e Bressanone, e a sud, fin quasi a Trento. Non dobbiamo immaginare una montagna come il Vesuvio o l’Etna, ma uno sprofondamento nella terra che è stato in attività, appunto, per quasi una quindicina di milioni di anni e che oggi è una conca riempita di roccia vulcanica spessa fino a 2.500 metri. Noto già un secolo fa, il vulcano prende il nome di

Megacaldera di bolzano. Sono molti gli studi che ne hanno analizzato, nel tempo, la composizione della roccia, la tipologia, il grado di acidità. ma mai prima di oggi ci si è soffermati su cosa è accaduto - con uno sguardo molto ampio - fra un “respiro e l’altro”, fra un’eruzione e l’altra.

Ecco la prospettiva adottata dal progetto “living with the supervolcano - 15 milioni di anni di vita e distruzione attorno al supervulcano atesino” che ha preso ufficialmente il via nei primi giorni di novembre.

«l’idea è nata un paio di anni fa. il vulcano di bolzano, diciamo, me lo trovo davanti casa ogni giorno - racconta Evelyn kustatscher, conservatrice della sezione paleontologia del Museo di scienze naturali dell’alto adige, capofila del progetto - solo la primavera scorsa siamo però riusciti a ottenere un finanziamento da parte della ripartizione innovazione, ricerca e università della provincia di bolzano che attraverso una call ha selezionato oltre 60 progetti internazionali e di alto livello sul territorio dell’euregio. con la nostra idea siamo arrivati nella rosa dei primi quattro progetti finanziati».

“living with the supervolcano” coinvolge le energie di un gruppo base di 14 ricercatrici e ricercatori (afferenti al museo di scienze naturali di bolzano, al Muse, il museo delle scienze di trento, all’Istituto di geologia dell’università di innsbruck, all’uFficio geologia e prove materiali della provincia di bolzano, al dipartimento di geoscienze dell’università di padova e al Cnr di padova) che hanno messo a sistema le proprie conoscenze per provare a comprendere come l’attività di questo sistema vulcanico abbia influenzato la vita 280 milioni di anni fa. il vulcano è stato attivo per moltissimo tempo, con varie interruzioni; durante queste pause si sono formati paesaggi fluviali e lacustri, in cui si sono insediati rettili, anfibi e piante. tuttavia, i loro habitat sono stati ripetutamente distrutti da eruzioni e i gas emessi hanno avuto un forte impatto sulla vita locale.

«l’aspetto sui cui concentrarsi - sottolinea Massimo bernardi, paleontologo del Muse - è lo studio delle interrelazioni fra la profondissima attività di inquinamento atmosferico di un vulcano che emette gas serra, anidride carbonica, gas dello zolfo, e la fauna e la flora. evidentemente le reazioni sono state di diversa natura, così da permetterci di comprendere cosa accade a degli ecosistemi soggetti a una grandissima perturbazione ambientale per dieci o quindici milioni di anni».

Allo studio 21 bacini sedimentari, distribuiti in un raggio di 30 chilometri intorno a bolzano e corrispondenti a diversi periodi di questa fase vulcanica. le rocce e i fossili dei bacini forniranno informazioni su quali animali e piante vivevano nella zona, su come le varie eruzioni hanno influenzato il clima e gli habitat locali e su quali adattamenti sono stati necessari per gli animali e le piante per sopravvivere in queste difficili condizioni. il progetto guarderà tutte le successioni negli strati fra un'eruzione e l'altra: alcuni di questi sono stati studiati molto, altri non si conoscono quasi.

«vogliamo esaminare tutta la sequenza - precisa kustatscher - e creare una specie di puzzle verticale fatto di strati diversi che ci permetterà di definire che piante, animali e che clima c'era in ogni sequenza. non analizzeremo un solo un affioramento, ma guarderemo in tutti, o nella maggior parte di essi, per descrivere una storia più ampia, e creare così quella che gli inglesi chiamano “the big picture”». un racconto complesso, quindi, che si muoverà sia nel tempo - guardando i vari strati - ma anche nello spazio, dall'epicentro dell'eruzione vulcanica per comprendere lo stress a cui piante e animali sono stati sottoposti, fino ai bordi del vulcano, meno influenzati dall’azione delle colate laviche.

L’enigma della lucertola.

E poi c’è lei. Una piccola, speciale, lucertola lunga poco più di 25 centimetri, chiamata Tridentinosaurus antiquus, la sua storia e il suo eccezionale valore dal punto di vista paleontologico. La dimostrazione, in formato fossile, che nemmeno in un ambiente così poco ospitale come quello del Permiano inferiore, dominato da continue eruzioni caratterizzate da nubi ardenti ad altissima temperatura, si può parlare di assenza di vita.

La storia inizia nell’estate del 1931, quando Gualtiero Adami, collaboratore del Museo di Scienze Naturali della Venezia Tridentina (l’attuale MUSE, il Museo delle Scienze di Trento), raccoglie sull’altopiano di Pinè una pietra sulla quale è impressa la sagoma di un animale simile a una lucertola. Nel 1942 il geologo Giambattista Dal Piaz ne parla come di “un bellissimo rettile lacertifome di habitat sicuramente terrestre”. Nel 1959, un altro studioso, Piero Leonardi, ne effettua lo studio paleontologico. I dati raccolti permettono di stabilire che si tratta certamente di un rettile e, più probabilmente, di un protosauro.

Dopo varie peripezie il reperto viene consegnato all’Istituto di Geologia dell’Università di Padova e lì rimane, fino ad oggi. Grazie a questo progetto, Valentina Rossi, una giovane paleontologa italiana che si è formata all’University College Cork studiando le modalità per ricostruire l’anatomia interna di vertebrati estinti, avrà la possibilità di avere un incontro a tu per tu con l’eccezionale fossile e capire, forse, come sia arrivato in queste speciali condizioni fino a noi. «Quello che oggi ci interessa - spiega Bernardi - non è tanto l’anatomia del Tridentinosaurus, quanto come si è preservato, cosa gli è accaduto dal momento in cui è morto al momento in cui si è trasformato in un fossile. L’aspetto interessante è che, a differenza di quanto accaduto a Pompei, non abbiamo una sua conservazione volumetrica, ma sono rimasti - pensiamo - i tessuti molli, quindi qualcosa che non si trova nei classici fossili». Lo studio potrebbe quindi permettere di comprendere quanto prezioso e raro sia l’antichissimo rettile: per farlo sarà necessario però condurre delle complesse analisi chimico-fisiche utilizzando strumenti analitici e di indagine all’avanguardia che condurranno la studiosa e il piccolo reperto in un lungo pellegrinaggio da un super-laboratorio all’altro.

Il prezioso Tridentinosaurus uscirà dunque dalle teche in cui è stato gelosamente riposto e inizierà un altro viaggio, in giro per il mondo, così da raccontare, finalmente, la sua storia e svelare un segreto custodito sotto la cenere per oltre 280 milioni di anni.













Scuola & Ricerca

In primo piano

L’ultimo saluto

A Miola di Piné l’addio commosso a don Vittorio Cristelli

Una folla al funerale del prete giornalista che ha segnato un’epoca con la sua direzione di “Vita Trentina”. Il vescovo Tisi: «Non sempre la Chiesa ha saputo cogliere le sue provocazioni»

IL LUTTO. Addio a don Cristelli: il prete “militante”
I GIORNALISTI. Vita trentina: «Fede granitica e passione per l'uomo, soprattutto per gli ultimi»
IL SINDACO. Ianeselli: «Giornalista dalla schiena dritta, amico dei poveri e degli ultimi»