Messa in latino, a Mori si celebra ancora
Don Ugolino Giugni, sacerdote dell’Istituto Mater Boni, si schiera contro il “motu Proprio” di Papa Bergoglio: “Sopprimere l’uso di una lingua sacra dalla liturgia equivale a profanarla”. Una posizione destinata a fare discutere
TRENTO. In Trentino la Messa in latino si celebra ancora, in una chiesa di Mori acquistata tre anni fa dall’Istituto Mater Boni Consigliai, dove i fedeli si ritrovano due volte al mese.
La Messa tridentina (così chiamata perché la città di Trento fu la sede del celebre Concilio che difese la Messa cattolica dagli attacchi dei protestanti) è tornata alla ribalta recentemente a causa del “motu Proprio” Traditionis custodes di Papa Bergoglio, che ha voluto limitare la celebrazione della Messa antica in latino che era invece stata liberalizzata dal suo predecessore Joseph Ratzinger. E' "una situazione che mi addolora e mi preoccupa", aveva scritto il Papa in una lettera ai vescovi del mondo, sottolineando che "l'intento pastorale dei miei predecessori" proteso al "desiderio dell'unità" era stato "spesso gravemente disatteso". Il Pontefice aveva ricordato che tale possibilità era stata concessa per evitare lo scisma con i Lefebvriani ma molti tradizionalisti hanno fatto un "uso strumentale" di questo rito anche per rifiutare il Concilio Vaticano II.
Tuttavia, per circa duemila anni la Chiesa cattolica ha celebrato la Messa in latino secondo il rito codificato da Papa San Pio V in ottemperanza alle disposizioni del Concilio di Trento, mentre il “Novus ordo Missæ” di Paolo VI, che risale al 1969, ha una cinquantina d’anni. Una realtà, dunque, che ha radici profonde, come sottolinea don Ugolino Giugni, sacerdote dell’Istituto Mater Boni, che celebra la Tridentina a Mori e ne è un convinto sostenitore. Una posizione, la sua, molto netta e destinata a fare discutere, come avviene da decenni su un tema come questo.
Don Ugolino perché celebrare la messa in latino?
Sono 30 anni da che sono stato ordinato e ho sempre celebrato, e sempre celebrerò la Messa tridentina in latino perché ogni sacerdote cattolico di rito latino deve seguire le disposizioni della bolla “Quo primum” di San Pio V che prescrive che “per l'avvenire e in perpetuo si canti o si dica la messa altrimenti che secondo la forma del messale” - da lui pubblicato - “in tutte le chiese e cappelle del mondo cristiano”.
Cosa pensa della messa in volgare di Paolo VI?
Le risponderò con parole non mie, ma di due illustri cardinali del passato, Ottaviani e Bacci che nel 1969 firmarono un documento critico sul nuovo messale, chiamato “Breve esame critico del Novus Ordo Missæ” che fu presentato a Paolo VI. Essi dissero che: “Il Novus Ordo Missæ rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della santa Messa, quale fu formulata nella sessione 22 del Concilio Tridentino”. Negli anni settanta la messa nuova veniva apostrofata dai tradizionalisti come la “messa bastarda” o “la messa di Lutero…” lascio a voi di trarre le debite conclusioni… La Messa codificata da S. Pio V è il risultato dell'evoluzione e del continuo arricchimento del rito romano, dai tempi delle catacombe fino ad oggi, mentre il rito di Paolo VI è stato creato a tavolino dai liturgisti modernisti in collaborazione con i rappresentanti delle “chiese” protestanti, nello spirito ecumenista del Vaticano II.
Perché il latino è così importante nella liturgia?
Non esiste religione che non distingua ciò che è sacro da ciò che è profano. Ciò che è sacro è consacrato a Dio, riservato a Lui, e sottratto, di conseguenza, all’uso profano. Nel culto divino, specialmente, vi sono luoghi sacri (le chiese), riti sacri, oggetti sacri, paramenti sacri. La lingua non fa eccezione: ci deve essere una lingua sacra che per la Chiesa Romana è il Latino. Sopprimere l’uso di una lingua sacra dalla liturgia equivale a profanarla, andando in questo modo contro la natura e l'indole stessa della religione. Già nel IV secolo sant’Ilario di Poitiers ci ricordava che “è principalmente in queste tre lingue (ebraica, greca e latina) che il mistero della volontà di Dio è manifestato; ed il ministero di Pilato fu di scrivere anticipatamente in queste tre lingue che il Signore Gesù Cristo è il Re dei Giudei”. Ebraico greco e latino sono le tre lingue dell’iscrizione del titulus della Croce; queste tre lingue, dice don Guéranger che è una vera autorità in campo liturgico, “sono state le sole di cui ci si sia serviti all’altare” nei primi quattro secoli “il che dona loro una dignità liturgica particolare e conferma il principio delle lingue sacre e non volgari nella liturgia”. San Pietro stabilì la sua sede episcopale a Roma facendo sì che la Chiesa fosse romana, e scelse anche la sua lingua, il latino, che divenne nei secoli uno dei simboli di unione delle diocesi sparse nel mondo con la sede dell'apostolo Pietro. Inoltre il latino, che oggi non è più parlato, è ancora un segno della universalità della Chiesa perché appartiene a tutti i popoli e non ad uno solo in particolare, per questo la Chiesa viene chiamata “Cattolica” che vuol dire appunto universale. Il latino è ancora garante dell'unità della Chiesa: lo attesta Pio XII: “L’uso della lingua latina, come vige nella gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità” (Enciclica Mediator Dei, 1947). Al contrario, l'adozione della lingua nazionale nella liturgia è spesso fonte di scontro e di divisione tra i popoli. Inoltre il latino è una lingua immutabile, sacra, non più parlata quindi più atta ad esprimere le verità eterne immutabili in cui la Chiesa crede. Ricordiamoci il proverbio che dice: “traduttore, traditore”; anche involontariamente, una traduzione deforma più o meno il testo tradotto, ancora di più se il traduttore è animato dall'intenzione di deformare come è avvenuto nella messa nuova. Sappiamo che già nel IV secolo a Roma si celebrava la liturgia in latino, e molti elementi della Messa in latino, antica, ci fanno risalire ai tempi apostolici; per questo la Messa “antica” è così venerabile.
Cosa pensa del “Motu proprio” di Papa Francesco che ha soppresso la celebrazione della Messa in latino?
Penso che il m. p. Traditionis custodes, pur non essendo, secondo la posizione teologica del mio Istituto, espressione del diritto e della dottrina della Chiesa, è però insigne testimonianza dell’avversione profonda dei neo-modernisti e degli ecumenisti filo-luterani contro la liturgia immemoriale della Chiesa Romana, e manifesta così chiaramente l’incompatibilità dei due riti (quello tridentino, di sempre, in latino e quello riformato modernista di Paolo VI): i riformatori vogliono far scomparire il rito cattolico, quindi i cattolici devono pregare per ottenere da Dio che un legittimo Pontefice cacci dalle nostre chiese e dai nostri altari quello riformato. “Non si può servire a due padroni” dice il Signore nel Vangelo, non si può neanche pensare di avere il diritto di celebrare la Messa antica in latino tramite l'accettazione del nuovo rito di Paolo VI.