Un ago racconta l’età del ghiacciaio

L’Ortles ha 2664 anni. La scoperta grazie alla spedizione pensata dal roveretano Gabrielli


di Michele Stinghen


di Michele Stinghen

Autunno di oltre 2600 anni fa: sulle Alpi gli uomini hanno da poco cominciato ad usare il ferro. Il vento di una perturbazione porta in quota gli aghi appena lasciati dai larici, ed alcuni di questi si depositano sulla vetta dell'Ortles, venendo poi ricoperti dalla neve. Avvolti dal ghiaccio, uno di questi viene conservato per due millenni e mezzo. L'anno scorso ha rivisto la luce, estratto nel cuore della notte dai glaciologi della spedizione del Byrd Polar Research di Columbus (Ohio, Usa). L'ha pensata ed ideata un roveretano, scienziato e prima ancora appassionato di montagna, Paolo Gabrielli. Grazie a quest'ago, ed alle analisi con il carbonio 14, ora sappiamo quanto vecchio è il ghiaccio più profondo dell'Ortles, la vetta più alta della regione.

2664 anni per l'esattezza. É il primo e più importante dato emerso dai primi studi delle carote di ghiaccio estratte esattamente un anno fa. Durante le ricerche il ghiacciaio è stato perforato quattro volte, raggiungendo più volte il fondo (75 metri). La fortuna aiuta gli audaci, e proprio un metro sopra il fondo di roccia è stata trovata l'aghifoglia. Il modo più semplice e preciso per datare il ghiaccio è proprio scoprire del materiale organico al suo interno: un colpo di fortuna enorme, se si pensa che si tratta di un foro di pochi centimetri su una vasta superficie ghiacciata, come quella della calotta dell'Ortles. Altre informazioni stanno emergendo, ad esempio a 41 metri di profondità c'è maggiore radioattività, e corrisponde al 1963, anno in cui si fecero numerosi test nucleari nel mondo. La stessa anomalia è stata trovata negli altri ghiacciai della Terra, dall'Antartide alla Groenlandia, e le Alpi non fanno eccezione. Altri dati emergeranno ben presto dalle ricerche, e si ricostruirà la storia climatica di 2600 anni in questa zona delle Alpi. Tutte informazioni custodite nel ghiaccio e che si perderanno presto, a causa dello scioglimento dei ghiacciai.

A studiare i ghiacci ci sono, oltre all'Università di Gabrielli, quelle di Innsbruck, Berna, Padova, Pavia, Venezia, l'ufficio geologia altoatesino e l'Eurac di Bolzano, centri studi di Mosca e Varna. Parliamo della scoperta direttamente Gabrielli.

Come hai trovato l'aghifoglia nel ghiaccio?

«Ho avuto conferma poche settimane fa dall'Università di Innsbruck che si tratta di un ago di larice. L'ha trovato il nostro collega dell'Università di Venezia, Andrea Spolaor, mentre stavamo tagliando le carote per il lungo nella cella frigorifera del Vivaio della Provincia di Bolzano a Prato allo Stelvio, a metà dello scorso ottobre. "To', guarda qui" mi fa lui. Pensa che in cima all'Ortles ci era sfuggito. Quella sezione l'avevamo estratta dal ghiaccio che era ormai notte fonda. Era l'ultima di quella carota e non vedevamo l'ora di andare a dormire».

L'età del ghiaccio in base alle analisi dell'aghifoglia (2664 anni fa) corrisponde alle ipotesi iniziali?

«L'ipotesi iniziale era che il ghiacciaio dell'Ortles potesse contenere in profondita' del ghiaccio preistorico ed . era basata sull'analogia che Oetzi, la mummia del Similaun, ritrovato a soli 30 km di distanza, era emerso da un ghiaccio di questo tipo, anche se ancora più antico. A quell'epoca non ci credeva praticamente nessuno ma ora, un passo alla volta, stiamo cominciando a riscrivere la storia glaciale delle Alpi».

Lo stato di salute dei ghiacciai: sempre peggio? Quali informazioni arrivano dall'Ortles, dove l'Università di Padova ha installato delle centraline di rilevamento?

«Luca Carturan dell'Università di Padova sta ora valutando i dati della stazione meteo. Tuttavia ci sono pochi dubbi sul fatto che l'estate appena trascorsa e' stata una delle più calde mai registrate, probabilmente seconda solo all'estate del 2003.













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