l'inchiesta

Trento, picchiate e trascinate per i capelli se non incassavano abbastanza

Le indagini dei carabinieri hanno messo in rilievo una realtà di violenze sulle ragazze che non versavano 50 euro al giorno



TRENTO. Non bastavano le vessazioni quotidiane patite dalle ragazze sfruttate nel doversi “vendere” ai clienti; non bastavano le notti invernali al gelo di via Brennero obbligate a permanere sotto il lampione più luminoso, nella fetta di strada guadagnata dal protettore nei costanti accordi con altri protettori; non bastava l’onta del vendere il proprio corpo sotto costante minaccia.

Prostitute picchiate se non versavano ai protettori almeno 50 euro a testa

L'indagine sul racket della prostituzione in via Brennero ha alzato il velo su una realtà fatta di violenze e maltrattamenti ai danni delle ragazze che venivano sfruttate

Tutto questo non bastava agli sfruttatori arrestati dai militari del Nucleo Investigativo di Trento. Alcuni di essi si accanivano in violenze gratuite verso le ragazze. Talune venivano trascinate per i capelli nei corridoi dei grandi residence di Trento nord perché avevano “reso poco” o perché venivano scoperte dai protettori aver trattenuto per sé qualche decina di euro. 50 euro era la quota che veniva trattenuta ogni sera dagli aguzzini per l’affitto dell’ “area di sosta” di ogni ragazza su via Bolzano e la ragazza veniva controllata a vista dagli sfruttatori, che con ronde costanti tra le slot machines e la strada verificavano che il business fruttasse. Gli accompagnamenti da e per il posto prestabilito erano a carico dei protettori che avevano cura anche di provvedere all’acquisto dei preservativi (trovati numerosissimi nelle perquisizioni del giorno 8 scorso), oltre che all’accompagnamento delle prostitute in Pronto Soccorso per eventuali necessità sanitarie derivanti dal proprio triste lavoro notturno.

Una delle donne “intermedie” (cioè una delle due che aveva la “gestione” di altre prostitute), per non dover dichiarare al proprio protettore quanto avesse da poco incassato (e quindi per poter tenere nascosto quanto più possibile la propria “gestione” di altre “passeggiatrici”), è riuscita addirittura a fingere di essere stata rapita da altri soggetti e di non saper riferire dove fosse detenuta. In realtà la donna - in quei due giorni - albergava presso una stanza di un altro residence della città e, di nascosto, era riuscita ad inviare verso la famiglia di origine tutti gli incassi nascosti al protettore, per poi tornare “allo scoperto”.

E’ stata questa un’indagine che ha consentito agli uomini del Nucleo Investigativo dei carabinieri di addentrarsi in un mondo di violenze, soprusi ma anche di profonda dignità delle giovani donne sfruttate, che dall’8 marzo sono state accompagnate dall’Arma trentina sull’uscio del libero arbitrio. Ora potranno senza vincoli fare le proprie scelte sulle proprie libere vite. Alla domanda – più volte ripetuta loro dai carabinieri nei momenti successivi agli arresti dei protettori – se volessero finalmente cambiare vita, molte di loro hanno risposto titubanti, ferite, quasi rassegnate, riferendo di sentirsi ormai “marchiate a fuoco” da un’esperienza atroce, che forse non consentirà loro di uscirne psicologicamente, mai più.













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