«San Camillo, folle chiudere ostetricia»

Gli ex primari De Nisi e Pedrotti critici con l’assessore Rossi: «Sul Santa Chiara ricadrà un peso difficilmente sopportabile»


di Rinaldo Cao


TRENTO. Fuor di metafora la chiusura, del reparto di ostetricia dell’ospedale San Camillo ed il suo riassorbimento al Santa Chiara, negli stanzoni che conosciamo, è considerata una decisione scellerata, sicuramente fatta da persone che non hanno ancora compreso la complessità dell’evento nascita ovvero di tutto ciò che ruota attorno alla nascita di un bambino e che ha prodotto la cosiddetta “mortalità zero”, di cui il Trentino va fiero.

Sparano dritti al bersaglio, ovvero all’assessore provinciale alla sanità Rossi, i due protagonisti della neonatologia del Trentino, il dottor Dino Pedrotti primario per quindici anni del reparto del San Camillo che ora si vuol chiudere ed il dottor Giuseppe De Nisi, primario sino al 2011, della neonatologia dell’ospedale Santa Chiara. Per Pedrotti è una «boiata pazzesca», lo fa capire in tutti modi. «Per far digerire questa scelta – spiega Pedrotti – ci stanno raccontando che basta spostare il personale e che col nuovo ospedale tutto andrà a posto. Ma non è vero. Si sta tagliando alla cieca. Il nuovo ospedale nascerà con 200 posti letto in meno rispetto al Santa Chiara, mentre al vecchio Santa Chiara ci sono ancora le stanze a 4 e 5 letti. Se così stanno le cose qualcuno ci deve spiegare come può funzionare». Il professor Pedrotti lo dice chiaramente: «Io non mi rassegno alla chiusura del San Camillo». Lui ancora una volta, come sempre, è dalla parte dei bambini e questa scelta - dice - «anche se ci raccontano che va bene sia alla politica che alla chiesa, ovvero all’assessore ed al vescovo di Trento, nessuno mi toglie dalla testa che è calata dall’alto, ma senza comprendere il punto di vista delle mamme e dei bambini».

Pedrotti ha molto rispetto per le preoccupazioni delle suore alle prese coi conti che non tornano, «si può capire che quando i conti sono in rosso occorre intervenire. E proprio per questo – aggiunge Pedrotti – di questa scelta bisognava ragionare a trecentosessanta gradi, invece di calarla dall’alto come cosa fatta e finita». Secondo Pedrotti la città di Trento per mezzo secolo ha avuto la fortuna di contare su due ambienti, entrambi dedicati alla nascita: il Santa Chiara che svolgeva pienamente e con competenza il proprio ruolo di accompagnare le gravidanze, anche quelle più complesse, sino al momento della nascita ed il San Camillo su misura per mamme e bambini, che poteva sempre contare sull’appoggio del Santa Chiara. «Gli operatori dei due ospedali - ricorda e sottolinea il professor Pedrotti - hanno sempre collaborato con assoluta convinzione e secondo me potrebbero ancora continuare a farlo. Invece qui si è deciso di tagliare la testa al toro e di spostare indietro di mezzo secolo le lancette dell’evento nascita, riportandolo alla medicalizzazione più totale».

Insomma una restaurazione che farebbe rimpiangere il passato anche per l’ex primario di neonatologia dell’ospedale Santa Chiara, il dottor Giuseppe De Nisi. «Mi pare - dice - che si sia cancellato il “polmoncino San Camillo” che ha servito a dovere per mezzo secolo l’area neonatale della città, gestendo in armonia col Santa Chiara casi ben selezionati e con bassi rischi». Secondo De Nisi non si sono ben calcolate le ricadute di questa scelta, che fa proprio il punto di vista dell’ostetricia e che perde completamente di vista quello dei neonati. Si potrebbe dire che se ai giovani di oggi abbiamo tolto la speranza di un lavoro ai futuri nascituri di domani stiamo togliendo anche la sicurezza di avere un minimo di comfort alla nascita. De Nisi affonda l’indice contro l’assessore per ricordargli che è «facile chiudere un punto nascita ostetrico, ma in ambito sanitario –spiega l’ex primario – non basta spostare il servizio occorre sapere come intervenire con i 600 neonati che nasceranno al Santa Chiara, per dar loro tutto ciò che serve, ed in primo luogo le garanzie di sicurezza necessarie». Insomma prima di chiudere un punto nascita bisogna programmare l’evento nascita, così come noi lo concepiamo oggi, «e non mi pare che questo sia avvenuto». Il dottor De Nisi conclude ricordando quanto impegnativo sia stato per neonatologia l’assorbimento seguito alla chiusura del punto nascita di Borgo Valsugana, circa 200 parti l’anno: «Figuriamoci cosa vuol dire spostarne al Santa Chiara 600». Ed anche le rassicurazioni dell’assessore Ugo Rossi sull’assorbimento del personale del San Camillo non solo non hanno convinto, ma sono anche parse una risposta sbrigativa ad un problema di ben altra complessità.

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