Sait, in 18 mila pagano a fine mese

La carta fedeltà si usa come il vecchio libretto. Richieste in aumento del 10%


Luca Marognoli


TRENTO. Il libretto dove «farsi segnare» il conto della spesa oggi è un microchip. Sono 18 mila le carte InCooperazione utilizzabili come strumento di pagamento, la gran parte delle quali con l'opzione del saldo a fine mese. Per chi fatica ad arrivarci una boccata di ossigeno.

Ieri abbiamo raccontato la storia di Abramo Ottaviani, che nella sua bottega di alimentari davanti al Conservatorio, si sente sempre più spesso chiedere pagamenti dilazionati dalla clientela colpita dalla crisi. Oggi scopriamo che anche in una grande catena come il Sait si può fare: basta farsi soci e sfruttare una delle prerogative della carta fedeltà. Certo, tra queste non sono contemplate le barzellette o le parole di conforto di uno come Abramo, ma è bene saperlo.

Come è utile apprendere (e qui si parla di grandi numeri), che anche qui si registra un incremento nella domanda. «Le carte con il sistema di pagamento a bordo sono aumentate del 10% nei primi sei mesi dell'anno», afferma Luigi Pavana, direttore del Sait. «La maggioranza ha l'opzione del "fine mese". Oggi rappresentano il 20% delle carte in circolazione».  Il presidente, Renato Dalpalù, ricorda come «storicamente le famiglie cooperative segnavano la spesa sul libretto». Oggi il sistema è diventato più sofisticato: «Ci sono tre possibili utilizzi della carta», spiega. «Il primo consente di essere identificati e di avere accesso alle promozioni, il secondo è l'impiego come strumento di pagamento, simile al bancomat, senza Pin per spese fino a 80 euro, il terzo è la facoltà di pagare a fine mese, come con una carta di credito. Questo vale per tutte le cooperative, che sono 76, per un bacino di 100 mila soci».

Effetto della crisi? «Riscontriamo delle difficoltà non solo da questo - risponde Pavana - ma dalle crescenti richieste di intervento da parte delle associazioni che sostengono persone in difficoltà».

Un altro termometro è il massiccio ricorso allo sportello del credito solidale aperto due anni fa dalla Caritas. «Le richieste sono legate soprattutto alla casa: bollette, caldaia, caparra dell'affitto, spese condominiali...», racconta il direttore Roberto Calzà. «E questo deve far riflettere. Nel 2010 abbiamo incontrato 127 persone e erogato 39 prestiti per 66 mila euro (il massimo è di 3 mila euro). Non si decide solo se una persona ha diritto, ma la si accompagna in un percorso di relazione. Spesso la gente è imbarazzata, soprattutto i trentini: da una parte si vergognano e dall'altra non sanno sempre quali siano i propri diritti. A volte bastano un paio di telefonate per orientarli verso soluzioni come il pacchetto famiglia». Oltre alla titubanza, si osserva una difficoltà nel gestire l'improvvisa mancanza di risorse. «Abbiamo incontrato famiglie con uno stipendio molto alto e un mutuo altrettanto elevato: quando lei ha perso il lavoro non sapevano come fare. C'è chi riesce a cambiare il modello di vita e chi finisce in mano alle finanziarie. Non tutti sono in grado di distinguere fra le priorità».

Conferma questo problema Carlo Biasior, del Centro tutela consumatori: «Quello che manca è l'abitudine a farsi i "conti della serva". Nel nostro sito (www.centroconsumatori.tn.it) c'è "Contintasca", un programma che aiuta a gestire meglio le proprie spese. Arrivano persone piene di debiti stipulati con le finanziarie e abbiamo richieste di assistenza sulla rinegoziazione di mutui e piani di rientro da posizioni di sofferenza. Il potere d'acquisto è oggettivamente sempre più risicato e misure per aumentarlo non ne sono state adottate. Anzi».

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