«Sì ai primari in valle, ma non basterà»

Mattedi (anestesisti): «Non risolve la sicurezza dei punti nascita. Mancano medici, difficile attirarli negli ospedali periferici»


di Chiara Bert


TRENTO. «Rimettere i primari di anestesia negli ospedali di valle era una scelta assolutamente necessaria, è stato un errore gravissimo pensare di toglierli». Alberto Mattedi, responsabile sindacale dei medici anestesisti (Aaroi Emac), promuove la decisione della giunta provinciale di ripristinare i primariati di anestesia nei quattro ospedali periferici (Cavalese, Tione, Arco e Borgo Valsugana), ma resta prudente: «È una soluzione tampone, il problema è strutturale, mancano medici. E non si pensi che con i primari si risolve la sicurezza dei punti nascita».

Dottor Mattedi, la giunta ha ripristinato i primariati di anestesia per garantire la copertura h24 negli ospedali di valle. Qual è il suo giudizio?

Io l’ho sempre detto: il primario non ha solo una funzione organizzativa, altrimenti basterebbe mettere un qualsiasi impiegato che costava sicuramente meno. Deve garantire la sicurezza e la qualità delle prestazioni ai pazienti e ai colleghi. Il primario è indispensabile, non è un’alternativa. È stato un errore gravissimo toglierli. Questa era una scelta assolutamente necessaria, per fortuna che ci sono arrivati.

La decisione è stata spiegata anche con l’intento di rendere più appetibili gli ospedali di valle per i medici anestesisti. Lei ci crede?

Lascio loro questa illusione, magari mi sbaglio ma ho difficoltà a credere di sbagliare. Negli anni scorsi in Trentino tutto sommato ci siamo salvati perché in tutta Italia i concorsi erano bloccati, e quindi piuttosto che niente, si dice meglio piuttosto. Alcuni medici sono venuti nella nostra provincia. Ma per gli ospedali di valle non erano disponibili.

Lo ha dimostrato l’ultimo concorso di dicembre.

Anestesisti a passeggio non ce ne sono. L’abbiamo detto più volte come sindacati. La sanità va ristudiata perché nella migliore delle ipotesi tra 5-6 anni i medici saranno dimezzati. Ai tempi in cui io mi sono laureato, c’era il numero aperto, poi è arrivata la programmazione con il numero chiuso. La pletora di medici che in una certa fase si era creata, si è anche esaurita. E guardiamo l’età media, non è bassa, è oltre i 50 anni. Il problema è che non mancano solo gli anestesisti: mancano i neonatologi, i pediatri, i ginecologi, quelle specialità dove sono richiesti tanti professionisti. I ginecologi e i pediatri non servono solo negli ospedali ma anche sul territorio, diversamente da una figura per esempio come il cardiochirurgo.

Quindi non basteranno i primari per attrarre giovani medici?

La realtà è questa. Il conto è semplice: per laurearsi in medicina servono 6 anni, per specializzarsi in anestesia-rianimazione altri 5 anni. Sono 11 anni di studio. Chi è disponibile poi ad andare in un piccolo ospedale dove si fanno interventi non di grossa entità perché manca la struttura che serve? Non è un incentivo.

Come se ne esce?

Va ristrutturata la sanità trentina, che non vuol dire chiudere tutti gli ospedali, ma qualcosa deve cambiare. L’organico di anestesia di un ospedale periferico è di circa 3 anestesisti e un quarto per coprire i turni tra riposi, malattie e ferie. Oggi abbiamo 2 anestesisti a Borgo, con il primario che fa tre ma sta per andare in pensione. A Cavalese ci sono due anestesisti, se arriva il primario sarebbero coperti. A Tione sono in due, ma ho notizie che uno starebbe per andarsene. Ma oggi mancano anche 4 anestesisti a Rovereto.

L’ex assessora Borgonovo Re ha detto che avremo generali senza esercito.

Temporaneamente gli ospedali dove ci sono tre anestesisti, con qualcuno che va a tamponare per le ferie o malattie, riusciranno a funzionare. Ma è chiaramente una soluzione tampone, da sola non è sufficiente. D’altra parte la truppa senza generale cosa fa? Chi organizza? Chi dà le direttive? Il problema del resto investe tutta l’organizzazione e, ripeto, non riguarda solo gli anestesisti. Nel giro di 3-4 anni si dimezzeranno i pneumologi, per via dei pensionamenti.

Lei era stato molto duro sulla gestione dei punti nascita in periferia. Pensa che ripristinare i primari sia un messaggio al ministero che deve decidere sulle deroghe chieste dal Trentino?

Sicuramente i medici con esperienza danno qualcosa in più, ma non è sufficiente. Se non c’è una struttura che garantisca tutta l’organizzazione, dalla rianimazione neonatale a quella adulta, alla disponibilità di sangue, non si può garantire la sicurezza. Il rischio c’è sempre, lo abbiamo visto recentemente in alcune tragedie avvenute in grandi ospedali, però possiamo ridurlo. Ma pensare che mettere il primario di anestesia in un ospedale risolva la sicurezza del punto nascita, è una presa in giro.

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