Riva: gli autisti del brivido sulla Ponale

Si è chiusa solo nel 1989 l'epopea delle corriere «sospese» sul Garda


Sergio Molinari


Oggi gli «incroci pericolosi» sono quelli tra un escursionista che sale a piedi e un biker lanciato in discesa. Rischiosi, certamente: ma una bazzecola rispetto a certi «sfioramenti» da brivido tra corriere e camion, che per lunghi anni sono stati il pane quotidiano della Ponale, nota fino a tutti gli anni Ottanta come una delle strade più ardimentose e impegnative d'Europa. Eh sì. Il ricordo si sta affievolendo sempre più, eppure - incredibile ma vero - il sentiero che oggi corre sui fianchi della Rocchetta, a picco per centinaia di metri sopra il Garda incantato, è stato fino al 1989 una strettissima strada asfaltata a doppio senso di marcia, percorsa non solo da auto, ma anche dai servizi di linea e dal trasporto pesante.  Quando il titanico tunnel dell'Agnese (che adesso il traffico percorre gagliardo da Roncaglie a Biacesa in tre-quattro minuti) era solo il sogno di riscatto della piccola impresa manufatturiera ledrense, autisti ardimentosi (tanti oggi scomparsi, purtroppo; oppure anzianotti a godersi una pensione strameritata) si sciroppavano quotidianamente l'unica possibilità di imboccare (o lasciare) la valle. Un zig-zag tanto ardito quanto pauroso da Riva al ponte di Pregasina, dove la strada finalmente s'addolciva e s'allargava. Le mani di questi valorosi autisti erano saldamente in presa sul volante; e l'occhio, appena qualche centimetro dopo lo specchietto, precipitava in un baratro contornato di edera e ginestre. L'altro (occhio, s'intende!) era invece puntato dalla parte opposta, a controllare come un radar le insidiose sporgenze della roccia, scavata a picconate sulla dorsale della montagna, risparmiando al massimo sulla larghezza della carreggiata.  Di questi storici conducenti, siamo andati a scovarne due: i rivani Livio Spagnolli (classe 1926) e Italo Iaboni (1935), che per lunghissimi anni - prima con i camion, poi con le corriere di linea, infine con quelle riservate alle comitive di turisti stranieri - hanno disegnato traiettorie perfette sui tornanti della Ponale, mettendo nel magazzino dei ricordi aneddoti ed avventure, che insieme fanno una vera epopea.  Spagnolli, originario del ledrense, la Ponale cominciò a percorrerla subito dopo la guerra, con i «bisonti» carichi di carbone dei Rosa. Poi, dal 1952 fino alla pensione, con i pullman: non quelli modernissimi del giorno d'oggi che si guidano con un dito, ma poderosi automezzi di dieci metri (e quaranta passeggeri) rigorosamente privi di servosterzo e di altre amenità.  «Ci volevano calma, riflessi pronti e sangue freddo - racconta il veterano della Sar e poi dell'Atesina - Gli occhi erano abituati a controllare simultaneamente il ciglio della strada, le manovre e la velocità dei veicoli che viaggiavano in senso contrario e, nei punti più angusti, l'altezza del carico di valigie sul tetto della corriera. Se non si stava attenti, si poteva «collidere» da tutte le parti».  E poi, con la collaborazione fondamentale dei bigliettai, occorreva anche tranquillizzare i passeggeri debuttanti, soprattutto i turisti stranieri che per la prima volta accarezzavano le vertigini del vuoto sottostante. «Solo una volta - ricorda Spagnolli - un tedesco mi ha fatto fermare la corriera ed ha voluto andarsene, ritornando a piedi fino a Riva. Era terrorizzato. Moltissimi erano però quelli che chiudevano le palpebre, oppure che guardavano solo verso la montagna, aggrappati ai poggiamano».  Livio Spagnolli conosceva la strada «come l'Ave Maria». Proprio per questo gli capitava anche, soprattutto in estate, nella giornata di riposo, d'essere buttato giù dal divano da una telefonata degli impiegati dell'Atesina, in stazione. «Vai subito alla quinta curva salendo da Riva. C'è un autista tedesco che non riesce più ad andare nè avanti, nè indietro. Bisogna cavarlo d'impaccio!». Il buon Livio, allora, prendeva un passaggio fino all'ingorgo sulla Ponale, scendeva a terra, faceva arretrare le file delle auto in attesa e poi saliva al volante della corriera incrodata come un alpinista sopra una cengia. Avanti, indietro, sterzata, curva millimetrica, e via. Strada libera, avanti si passa...  Qualche anno dopo - ed è la storia che può raccontare Italo Iaboni - per l'«accompagnamento» in Ponale degli autisti stranieri impauriti da quella strada vertiginosa era nato addirittura un tariffario. Il tedesco o l'inglese di turno sganciavano 50mila lire e uno degli «specialisti nostrani» del volante si prendeva cura (al suo posto) di traghettare i gitanti fino a Biacesa. L'autista «esperto» avanzava verso la vallata mostrando orgoglioso il lago in fronte ai passeggeri: alle sue spalle il collega «maldestro» procedeva invece col taxi, quello che poi, ad operazione felicemente conclusa, avrebbe riportato a Riva l'indispensabile aiutante.  Anche Italo Iaboni ha percorso innumerevoli volte la strada costruita arditamente da Giacomo Cis nella seconda metà dell'Ottocento. Da camionista e da autista. Ed anche a lui - come a Spagnolli - non sono mai tremati i polsi. Nè ci sono stati incidenti degni di nota. La storia che Italo ricorda con più simpatia è quella di un collega autista dell'Atesina (di cui preferisce omettere il nome!) che poco prima del Belvedere si imbattè una volta in una berlina di lusso che un distintissimo signore non riusciva a manovrare. L'autista della corriera balzò giù dal pullman per dare una mano all'improvvido dandy di passaggio, ma anzichè essere accolto con umiltà, venne trattato con spocchia. Ma si vendicò: salito sul macchinone, con tre-quattro sapientissime manovre lo infilò in una delle piazzole panoramiche sopra il lago, lasciando non più di pochi centimetri di margine sui tre lati. Quindi tornò sulla corriera e salì fino a Molina. Al ritorno, tre ore dopo, l'azzimato turista era ancora lì con la sua berlina incastrata tra i muretti cadorini. E l'autista gliela cavò fuori. Non senza il predicozzo: «La prossima volta, se non sei capace di guidare, prenditi una Seicento!»  Italo Iaboni era seduto in corriera, sulla Ponale, anche all'alba del 13 dicembre 1976, quando la terra tremò in tutto il Basso Sarca. Il famoso terremoto di S.Lucia. Fu l'unico vero spavento di una carriera pluriennale. Una gragnuola di sassi venne giù dalla Rocchetta e bombardò il tettuccio del mezzo che arrancava verso la valle di Ledro. L'utenza trattenne il fiato, ma l'autista se la cavò egregiamente. Alla fermata di Molina gli spiegarono che sotto, a Riva, erano venuti giù tetti e cornicioni...  E' stata davvero un'epoca da pionieri quella delle corriere e degli autotreni sul balcone più strepitoso del Garda. Il panorama c'è ancora e lo si può godere da escursionisti a piedi o in bicicletta. Ma il brivido, le emozioni, non sono più gli stessi. Un conto è guardare il vuoto coi piedi ben piantati per terra: altra cosa è affrontarlo confidando sui copertoni, sui freni, sulla benevolenza di migliaia di passeggeri pallidi per la paura.

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