UNIVERSITA’

«Riforma 3+2», la stroncatura di Schizzerotto

Il professore emerito nella lectio magistralis ha sottolineato come non siano stati raggiunti gli obiettivi che si erano posti


di Martina Bridi


TRENTO. L'obiettivo di ridurre le disuguaglianze nelle possibilità di accesso e di permanenza all'università: mancato. Gli effetti sulla domanda di istruzione universitaria: negativi. L'impatto positivo iniziale: azzerato nel giro di pochi anni. È una stroncatura quella espressa qualche settimana fa dal professore emerito Antonio Schizzerotto nei confronti della riforma universitaria del 2001, la cosiddetta riforma del «3+2». Fino alla fine degli anni Novanta l'università italiana non era ancora riuscita a far fronte alla crescita della domanda collettiva di istruzione, iniziata trent'anni prima, e alla conseguente eterogeneità di preparazione e di origine sociale dei suoi iscritti. Si trovava, cioè, ad essere un'università di massa (almeno in termini relativi) che però continuava a funzionare come un'università di élite. «L'esperienza della riforma ha inizialmente prodotto un cospicuo innalzamento della domanda collettiva di istruzione universitaria - ha spiegato il professor Schizzerotto durante la lectio magistralis tenuta in occasione del conferimento del titolo di professore emerito - Questo effetto positivo è stato di breve durata e già nel 2007 si era pressoché azzerato». L'analisi ha messo anche in evidenza la mancata riduzione delle disuguaglianze nelle possibilità di accesso agli studi universitari e nella permanenza all'università, in relazione alle origini sociali dei giovani italiani, uno degli obiettivi che la riforma si era posta. «Con la riforma queste disuguaglianze tra soggetti di diversa estrazione sociale sono rimaste sostanzialmente invariate - ha proseguito Schizzerotto - Tra il 2001 e il 2007 tutti vanno un po' più all'università ma le diverse estrazioni sociali continuano a influire nello stesso modo sul tasso di passaggio e sul rischio di abbandono prematuro degli studi universitari (entro i tre anni dall'immatricolazione)». Ma perché gli obiettivi fissati nella riforma non sono stati raggiunti? Secondo lo studio del professore emerito gli ostacoli che ne hanno impedito il successo possono essere vari: la crescita scarsamente controllata del numero e del tipo dei corsi di laurea triennali e magistrali, la difficoltà per studenti e famiglie di orientarsi all'interno di questa sovrabbondante offerta formativa e la frammentazione dei contenuti disciplinari impartiti. Nel conto si deve, infine, aggiungere la natura ambigua e non mai chiarita delle lauree triennali: strumenti per accedere al mercato del lavoro o corsi preparatori per le lauree magistrali? «A incidere negativamente è stata anche la scarsa chiarezza sulla natura delle lauree triennali, oltre ad altri fattori più tecnici, come, in molti casi, la mancata attivazione di tutoraggi e di esercitazioni di laboratorio, gli intervalli limitati di tempo tra la fine delle attività didattiche e le prove di profitto» ha concluso il docente.













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