Pd, Dorigatti si smarca «Riforma centralista»

Il presidente del consiglio: «Non farò campagna per il no, ma l’ impianto impoverisce le Regioni». «Coalizione, serve uno scatto: i partiti si federino»


di Chiara Bert


TRENTO. «È una riforma che impoverisce le Regioni, è un centralismo che toglie acqua alla partecipazione e alla democrazia. E il nuovo Senato non è né carne né pesce, era più saggio abolirlo». Il presidente del consiglio provinciale Bruno Dorigatti rompe il fronte Pd del sì al referendum costituzionale. Lo fa senza dare indicazioni di voto, né sottoscriverà documenti per il no. Ma a dire la sua opinione, che nel Pd trentino è in netta minoranza, non rinuncia. Così come non rinuncia a sferzare il centrosinistra autonomista: «Basta con i protagonismi, serve un cambio di passo, una federazione tra i partiti della coalizione. Una casa comune, con regole chiare. Altro che blockfrei».

Presidente Dorigatti, tra un mese partiranno i lavori della Consulta per la riforma dello Statuto. Cosa si aspetta? Una manutenzione o un processo più importante?

Io immagino possa uscire un’autonomia che sia motore e abbia un ruolo forte in Italia e in Europa, come portatrice di cultura e solidarietà e non di profitto e burocrazia. Siamo consapevoli che stiamo in un contesto di centralismo asfissiante e di forte avversione nei confronti delle autonomie speciali.

Ammetterà che le Regioni spesso non hanno dato grande prova di sè in questi anni...

È vero, ci sono stati sprechi e casi di malagestione, ma non per questo va cancellato un nodo fondamentale dell’articolazione democratica. Anzi, io sono convinto che bisogna rilanciare le ragioni dell’autonomismo, che sono la capacità di autogoverno, l’innovazione, l’inclusività, la solidarietà.

Quello sull’autonomia non rischia di essere un dibattito distante da larghi strati della popolazione?

Avverto poca consapevolezza, l’autonomia è spesso vissuta come bancomat. Rischiamo di accorgerci della sua importanza quando ci verrà tolta. La responsabilità è anche nostra. La Consulta ha previsto un ampio processo di partecipazione, per questo dico no a consulte parallele di cui ho sentito parlare in questi giorni (le Acli, ndr), si partirebbe con il piede sbagliato. La Consulta non è un condominio in cui ognuno cura il suo appartamento. È una casa comune, è stata eletta democraticamente, è autorevole ed è popolare.

Trento e Bolzano sapranno fare allo Stato una proposta comune?

Il rapporto con Bolzano è fondamentale, sarebbe stato meglio un percorso comune dall’inizio ma lo dovremo recuperare. Se vogliamo trovare l’Intesa con lo Stato servono proposte percorribili. Proposte di autodeterminazione, come abbiamo sentito, hanno il fiato corto. L’obiettivo è rafforzare l’autonomia e allora dobbiamo fare attenzione a non peggiorare l’attuale situazione. Come diceva Magnago sul Secondo Statuto, trovare l’accordo possibile. Decisivo sarà il ruolo da dare alla Regione, in un quadro più ampio dell’Euregio e dei rapporti con l’Europa.

Prima si passerà dalla riforma costituzionale su cui si voterà a novembre. Qual è il suo giudizio?

A mio avviso è una riforma che impoverisce le Regioni attraverso il centralismo che toglie acqua alla partecipazione e alla democrazia. Dovremmo evitare di scatenare la rincorsa e la contrapposizione tra Regioni ordinarie e speciali.

Il nuovo Senato delle autonomie non basta a bilanciare?

Il nuovo Senato a me sembra che non sia né carne né pesce, sta tra la Camera politica e la Camera territoriale, le sue competenze sono tutte da verificare. Un Senato con molti poteri e poche funzioni. Era più saggio cancellarlo anche da un punto di vista economico. Sicuramente non rafforza il regionalismo e le Regioni. Avremo senatori che non saranno presenti né a Roma né sul proprio territorio.

Sarà tra i pochissimi del Pd trentino a votare no al referendum?

Non ritengo opportuno da presidente del consiglio schierarmi, non sottoscriverò documenti né farò banchetti. Ma osservo con qualche preoccupazione, ascolto il confronto dentro il Pd, in particolare quella parte che continua a manifestare perplessità e contrarietà sull’intero impianto istituzionale.

Tonini, senatore del suo partito, ha detto che se vince il no l’Italia resterà un Paese bloccato e ingovernabile.

Si lanciano messaggi catastrofici che non condivido. Il dibattito sulle riforme non si fermerà.

C’entra anche che lei non è un grande sostenitore del governo Renzi? Cos’ha sbagliato secondo lei il premier?

Ha spostato a destra il Pd e prosciugato gli altri partiti, in primis Forza Italia. Il 40% delle Europee viene da lì. Ha annunciato grandi riforme e grandi cambiamenti, ma si è allontanato dal mondo del lavoro, da quei pensionati e disoccupati che il cambiamento lo hanno visto poco. Ha rotto con i sindacati, ha raccontato che senza l’articolo 18 avremmo attirato gli investimenti. Non mi pare sia andata così...

Ma oggi a sinistra ci può essere un’alternativa al Pd?

La sinistra deve stare e recuperare spazio nel Pd. Io non credo alle forze politiche da prefisso telefonico, servono forze robuste per governare in epoche difficili. Nella purezza delle ragioni non si conta, serve pragmatismo.

Il centrosinistra trentino viene da mesi difficili e battibecca anche ad agosto.

I rapporti si sono deteriorati, inutile negare che i congressi non hanno affrontato i veri nodi e forse nemmeno appianato le liti interne. C’è bisogno di un cambio di passo che dia risposte ai problemi, il lavoro, la crescita che non è sufficiente, i processi migratori.

Come?

Intanto smetterla con i protagonismi e le piccole schermaglie che affossano la politica e le istituzioni. Si elabori un programma di metà legislatura con poche cose da fare e che si concentri sulla priorità: come stimolare la crescita. Poi io penso che non possiamo presentarci nel 2018 come una banda litigiosa. Nessuno è autosufficiente. Lavoriamo a una federazione di Pd, Upt e Patt che non è una fusione di partiti ma una casa comune in cui si sta in base a delle regole. Così daremo il senso di una coalizione che guarda oltre i destini dei singoli e oltre il 2018.

Preoccupato dai rapporti tra maggioranza e minoranza in consiglio? Di lei le opposizioni hanno detto che non è più il presidente di tutti.

Il consiglio provinciale è uno specchio della società, di una società frantumata e rancorosa dove ognuno tende a guardare al proprio pezzo. Ma la politica dovrebbe sforzarsi di avere una visione più complessiva e non rincorrere le pulsioni. Le minoranze hanno diritto di fare emendamenti, la maggioranza di trovare le soluzioni per governare. Nessuno si è mosso fuori dal regolamento. Quando si paralizza l’aula nessuno ci guadagna. E questo, sia ben chiaro, non significa annullare la battaglia politica che è il sale della democrazia.

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