«Morte e paura, ma io resto qui»

Strada, chef trentino nell’inferno di Giacarta: «Tensione per gli attentati, ma è una città di convivenza»


di Daniele Peretti


TRENTO. Passare ad una cinquantina di metri mezz'ora dopo un attentato che ha procurato morti e feriti e non accorgersi di nulla. Può succedere anche questo nel caos di una città di 15 milioni di abitanti come Giacarta, dove giovedì una serie di attentati dell’Isis ha provocato 7 morti. «Qui è normale sentire le sirene o vedere la polizia in strada - ci racconta il trentino Paolo Strada, chef al ristorante “Luna Negra - e in 50 metri ci possono essere anche due grattacieli. Ho capito che qualcosa non andava dal traffico minore e poi dal telegiornale quando sono arrivato al ristorante».

Adesso la situazione com'è?

Tranquilla, c'è meno gente in strada e questo può vuol dire che ha paura.

C'erano avvisaglie di un possibile attentato?

Che c'erano state delle minacce l'ho appreso dalla stampa italiana, qui la convivenza è buona, anche se per Natale nelle strade secondarie sono comparsi alcuni striscioni con la scritta “Noi non diciamo Buon Natale, siamo musulmani”.

Quali sono le realtà religiose che convivono a Giacarta?

La maggioranza è musulmana, poi ci sono i protestanti e i buddisti, ma qui la situazione è decisamente migliore rispetto a quella di Bali dove la maggioranza è induista.

La gente di Giacarta com'è?

Semplice, buona e ubbidiente, probabilmente perché ha alle spalle secoli di dominazione e devono ancora abituarsi alla nuova realtà.

La comunità italiana è stata coinvolta nell'attentato?

No, perché quasi tutti sono dipendenti dell'Eni o della Pirelli vivono e lavorano fuori città. A vivere a 200 metri dal luogo dell'attentato, ma anche in città direi che sono l’unico.

La sua clientela come ha vissuto l'attentato?

Preoccupata, ma fiduciosa nel livello di integrazione che caratterizza Giacarta. Lavoro in un ristorante italiano e la clientela è quasi esclusivamente composta da indonesiani e giapponesi.

Alla sera chiude prima?

Chiudiamo quando non ci sono più clienti e dopo il 14 gennaio il movimento è diminuito. Bisogna vedere se continuerà ad essere così o se si tornerà alla normalità.

Ci racconti la sua esperienza in Indonesia...

Con l'azienda con la quale lavoro sono stato a Bali e Singapore e da tre anni a Giacarta, ma adesso vorrei lasciare il ristorante e passare in uno all'interno di un hotel, molto più tranquillo e con orari sicuri.

Un altro trasferimento o sempre a Giacarta?

Sempre qui, sto trattando col Ritz Carlton che nel 2009 ha subito un grave attentato, ma per la legge dei grandi numeri oggi lo considero sicuro.

Lei è anche conosciuto alla televisione...

Sono uno dei giudici di “Masterchef Indonesia”, che qui è anche una sorta di scuola per giovani cuochi.

Dopo l'attentato ha pensato di lasciare Giacarta?

Non ho avuto un coinvolgimento emotivo diretto e non ho visto scene cruente. Vissuto così non fa paura. Oggi dove si può essere sicuri che non succeda nulla? Qui ho una realtà professionale che mi piace, mi trovo bene. Non c'è nessun motivo per andare via.













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