storie di donne

Michela Luise, tre asini come regalo di fidanzamento

La geologa che non ha mai fatto la geologa: educatrice, guida ambientale, malgara. Poi l'esperienza dell'orto urbano a Rovereto 


Daniele Peretti


NOGAREDO. Michela Luise: la geologa che non ha mai fatto la geologa e che come regalo di fidanzamento ha ricevuto tre asini che sono stati una scintilla: per cinque anni ha cogestito Malga Cimana con annesso allevamento di asini. Fino al 2000 ha avuto una professione tradizionale collaborando con degli studi forestali dopo la laurea in geologia, poi la svolta. Un irresistibile richiamo della terra nel senso della coltivazione, l’ha portata a cambiare rotta lavorativa e così arriva la fattoria didattica: «La terra in quanto vita e fonte di vita mi ha sempre affascinato; dietro ad ogni prodotto c’è una storia da raccontare: nulla è semplice come sembra».

Torniamo al regalo di fidanzamento: tre asini. «Mio marito conoscendo la mia passione è andato a colpo sicuro, tant’è che è da lì che è partita l’idea dell’allevamento».

Ci racconta la sua esperienza con gli asini ?

Bellissima, pensi che a Malga Cimana erano i mediatori tra noi ragazze della gestione e gli ospiti. L’asino ha una pazienza infinita, ti permette di sbagliare e di rimediare all’errore. Quando si ferma non lo fa perché testardo, ma semplicemente perché non ha capito cosa deve fare. È allora che si può cominciare ad interagire e a capirsi. Per me è un animale fantastico.

L’esperienza non è stata infinita?

No, è durata fino al 2018 poi abbiamo portato gli asini in Val di Gresta e non li abbiamo più seguiti. Tutti i cicli prima o poi finiscono e tra l’altro era terminato anche il contratto per la gestione della malga e abbiamo dovuto prendere strade diverse.

Michela Luise ha fatto anche pet therapy, è stata educatrice e guida ambientale, per quattro anni ha fatto anche “la malgara”, come si definirebbe?

Saltimbanco. Oggi è un termine tendenzialmente negativo. Per me non lo è, ma è proprio di chi conosce i propri limiti, ma sa rapportarsi con tutti, diciamo che si muove liberamente in un ambito che conosce. Poi di certo sono anche una visionaria.

L’Orto Urbano di Rovereto è forse la forma diretta del suo voler tornare alla terra.

L’Orto Urbano, (Orto San Marco Setàp), nasce dalla collaborazione tra l’associazione H2O+ e Mangio Trentino che è un mix tra rigenerazione urbana e sociale, una Urban Farm che è un progetto unico in Italia. Grazie ad un bando della Caritro abbiamo potuto dar vita ad una forma di welfare di comunità che sta avendo un ottimo riscontro.

Dove vi si può trovare?

Siamo a Rovereto in Via Pasqui di fronte al Catasto dove il Comune ci ha assegnato un terreno per 14 anni proprio per dare continuità ad un progetto che tra gli altri ha anche l’obiettivo di sensibilizzare alla sostenibilità.

Il suo ruolo?

Quello di coordinatrice del progetto. Organizzo le visite e accolgo gli ospiti, partendo dalla terra si possono spiegare anche le origini di Rovereto.

Quando riceve i visitatori, si sente appagata?

Sì, quando mi rendo conto che hanno raggiunto una consapevolezza che può anche essere solo quella di sapere cosa esattamente andranno a mangiare.

Nel vostro viaggio nel passato siete riusciti a recuperare produzioni dismesse?

Partiamo dal presupposto che l’Orto Urbano vive anche su ciò che vende e che se le produzioni sono state interrotte la causa è spesso la mancanza di richiesta. Però qualcosa abbiamo fatto.

Tipo?

Le rape di Terragnolo e vorremmo provare anche col grano Saraceno di Terragnolo.

In cosa si differenziano?

La base è unica, poi prendendo per esempio la rapa di Terragnolo col tempo si è adattata all’ambiente ed è diventata più piccola e più schiacciata. Cerchiamo di valorizzare quello che c’è dietro ogni prodotto della terra. Lo scopo del progetto è anche quello di creare dei percorsi educativi che coinvolgano le scuole di Rovereto e della Vallagarina. Si tratta di percorsi che mirano a costruire consapevolezza e conoscenza collettive rispetto all'utilizzo del suolo, all'importanza della biodiversità e in merito al tema dello spreco e della produzione locali.

Difficile che si fermi all’Orto Urbano, ha dei progetti?

Si quello di andare in ferie. Scherzo, ma me lo meriterei. Seriamente vorrei riuscire a creare delle solide fondamenta perché l’Orto San Marco possa non solo crescere, ma confermarsi nel tempo. È bello pensarci come un’esperienza unica, ma sarebbe altrettanto bello potersi confrontare con altre realtà simili alla nostra.

Nei suoi incontri getta anche le basi per un’educazione alimentare.

Perché sono anche un’educatrice alimentare, sicuramente conoscendo i prodotti se ne favorisce anche il rispetto e da qui l’impegno contro lo spreco alimentare ne è una logica conseguenza. Quando per esempio racconto la storia di una cipolla, bisogna anche percepire la fatica di chi l’ha coltivata e l’ha portata sulla nostra tavola. Non sprecarla, ma utilizzarla al meglio è anche un segno di rispetto nei confronti dell’agricoltore e a questo punto si chiude il cerchio che c’è dietro ad ogni prodotto della terra.

 













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