l'allarme

Lavoro, meno infortuni ma più morti

Pesante il bilancio nei primi otto mesi del 2015: gli incidenti mortali sono stati nove e superano quelli di tutto il 2014


di Daniele Peretti


TRENTO. Un aumento dell'incidenza degli infortuni mortali del 30% è indubbiamente un dato pesante, rapportandolo anche ad una generica crisi occupazionale che ha drasticamente diminuito le ore lavorate. Ma se dal gennaio ad agosto di quest'anno sono state 9 le morti bianche in Trentino, vuol dire che è già stato superato il triste dato statistico registrato nel 2014 (quando le morti erano state 6). Un altro dato è quello delle malattie professionali che nel 2014 sono state 422 (386 nel 2013), mentre ad agosto di quest'anno siamo a 223 con un decremento del 25,41% rispetto allo stesso periodo dell'anno passato.

In flessione anche le denunce di infortuni con un -3%: 9230 nel 2014; 9542 nel 2013; mentre nei primi otto mesi del 2015 il tetto raggiunto è quello delle 5337 denunce. Un quadro da analizzare con attenzione prendendo come parametro di riferimento la crisi occupazionale, ragion per cui non deve soddisfare il calo degli infortuni nel settore delle costruzioni che nel 2014 sono stati 521, contro i 641 del 2013. Deve preoccupare invece il dato registrato nel settore agricolo, dove con 858 denunce contro le 885 del 2013 la situazione sembrerebbe stabilizzarsi.

Da capire come mai gli infortuni del settore alberghiero-ristorazione siano esattamente uguali a quelle dell'edilizia, ma in aumento rispetto al 2013 (441). Come ha sottolineato il presidente provinciale dell'Anmil Bruno Endrizzi, sono dati condizionati dalla crisi: «Rapportandosi con il monte ore complessivo, si evidenzia la crisi che attanaglia il nostro paese ed anche la tendenza ad evitare la denuncia di infortuni nei casi più lievi».

Un'altra considerazione da fare è che in presenza di una timida ripresa si registri un indice in aumento degli infortuni come se una delle conseguenze della crisi possa essere stata quella di un minore investimento nella sicurezza dell'ambiente di lavoro.

Il presidente Endrizzi ha sottolineato anche altre criticità come la sostanziale impossibilità di ricollocare l'infortunato una volta tornato abile al lavoro. « In questo caso si paga la fase critica del mercato che non favorisce l'inserimento lavorativo delle persone con disabilità. Mancano i percorsi specifici, non si è data sufficiente attenzione all'aspetto della formazione, indispensabile perché un invalido del lavoro è molto spesso un lavoratore che si ritrova a dover cambiare completamente mansioni e tipo di attività e senza un'adeguata riqualificazione non riesce ad essere reinserito nel posto a lui più adatto».

In sostanza non si è riusciti a concretizzare le intenzioni espresse dalla legge 68. La situazione si aggrava ulteriormente quando il datore di lavoro non riesce a ricollocare nell'ambito della propria azienda il lavoratore, licenziandolo per “giustificato motivo oggettivo”.

Dalla relazione del presidente è emerso come l'attuazione della legge 68, nel 2013 per ogni quattro nuovi iscritti alla lista del collocamento obbligatorio, solo uno ha trovato effettivamente un lavoro. Ma se il termine di paragone diventano gli iscritti, il rapporto è ancora peggiore: un avviamento al lavoro ogni 36 iscritti. E lo stesso orientamento lo si ha anche con le nuove opportunità di chiamata numerica.

Un altro aspetto storicamente irrisolto è la mancanza di un meccanismo di rivalutazione automatico dei trattamenti per danno biologico. «È dal 2000 che l'Anmil si batte per l'adozione di questo provvedimento in considerazione anche del fatto che si tratta delle uniche prestazioni sociali prive di adeguamento automatico annuale, con una perdita reale di valore; per questo stiamo elaborando una proposta normativa che auspichiamo possa trovare spazio nell'ormai prossima legge di stabilità». La situazione che si è venuta a delineare in occasione della Giornata Nazionale per le Vittime degli Incidenti sul Lavoro, resta critica.













Scuola & Ricerca

In primo piano