ieri l’ultimo saluto al giornalista filippini 

Lando: «Ciao Filippo, ti ricorderò pensando al nostro Gemoll»

Conosco la data pressoché esatta di quando Franco Filippini ed io ci siamo conosciuti. Era la fine di settembre del 1960 quando, appena iscritto alla quarta ginnasio del Liceo classico di Rovereto,...


di Mauro Lando


Conosco la data pressoché esatta di quando Franco Filippini ed io ci siamo conosciuti. Era la fine di settembre del 1960 quando, appena iscritto alla quarta ginnasio del Liceo classico di Rovereto, suonai alla sua porta in via Dante a Rovereto. Aprì lui, io non lo conoscevo, gli diedi del lei perché era un “maturo” ed io avevo solo finito la terza media. Gli dissi che Armando, il bidello del Liceo, mi aveva dato il suo indirizzo perché volevo chiedergli se era disposto a vendermi di seconda mano il vocabolario di greco considerato che ora non lo avrebbe più usato.

Mi fece entrare, mi disse di dargli del tu (ricordo ancora il suo sorriso) e mi consegnò per cinquemila lire quello che per me è poi diventato il mitico “Gemoll”.

Solo dopo scoprii che il vocabolario, curato dal professor Guglielmo Gemoll, aveva avuto la sua prima edizione nel 1908 e che era sì di complessa consultazione, ma molto preciso.

“Il Gemoll” mi accompagnò così nei miei successivi cinque anni di liceo e ogni tanto davo un’occhiata al frontespizio dove Franco Filippini aveva lasciato al sua firma.

Sono passati gli anni, i decenni e “il Gemoll” è sempre stato il nostro ricordo comune.

“Come stai ?” ci chiedevamo quando ci incontravamo e Franco in più mi chiedeva: “Come stalo el Gemoll?” La mia risposta è sempre stata questa: “El ghe, e l’è pien de polver”.

Ebbene, quando martedì scorso in treno sono stato avvertito telefonicamente che Franco Filippini era morto, sopita l’emozione ho pensato subito al “Gemoll” e non vedevo l’ora di arrivare a casa per spolverare quel vecchio dizionario. Prometto che ora lo spolvererò sempre, perché quel volume di 1146 pagine è stato il legame di un’amicizia costante nonostante le non abbondanti frequentazioni.

“Gemoll” a parte, le vicende della vita ci hanno fatto incontrare nel campo del lavoro. In un primo momento perché Franco Filippini lavorava nella redazione di Rovereto dell’Alto Adige con sede adiacente al circolo Cultura Viva che da studente frequentavo.

“El dòpret el Gemoll” mi chiedeva ridendo.

Successe poi che nella redazione dell’Alto Adige di Rovereto sono andato a lavorarci anch’io, mentre Franco era passato a quella di Trento. Arrivò l’estate del 1970 quando anch’io passai a Trento perché, mi dissero, Franco Filippini di lì a qualche mese sarebbe stato trasferito a Bolzano. Il lavoro nella medesima stanza, uno di fronte all’altro nella sede di piazza Lodron , durò solo un paio di mesi. Io rimasi e lui come previsto andò a Bolzano.

Da allora cominciammo a vederci poco, soprattutto in occasione di assemblee di redazione dove lui, con ironia, sapeva calmare qualche bollente spirito. Il suo percorso professionale è poi proseguito altrove. Con la pensione si è avuta occasione di vederci più spesso, magari all’Ordine, ma la domanda era sempre la stessa: “Come stalo el Gemoll?” La mia risposta non cambiava: “El ghe, e l’è pien de polver”.















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