La scommessa di don Zatelli: «Vi spiego la mia messa reggae»

Stasera l’inedita celebrazione nella chiesa di San Carlo Borromeo in Clarina, ma è solo l’inizio. Sette incontri da qui a maggio e uno schermo gigante all’oratorio: «Dobbiamo aprirci al mondo»


di Paolo Piffer


TRENTO. Che questa sera nella chiesa di San Carlo Borromeo in Clarina si celebri la messa a ritmo di reggae, come anticipato ieri dal Trentino, potrebbe essere anche una stravaganza, quasi un’eccentricità di un prete, il parroco don Lino Zatelli, che in altri tempi si sarebbe definito un po’ beat, perlomeno fuori dal coro. Tenendo poi nel debito conto che, tra celebrazioni pop e rock, chitarre e altri strumenti in chiesa se ne sono visti fin dai tardi anni Sessanta, al passo coi tempi, di allora. Scivolerebbe via, la notizia come il titolo, insieme al tempo, per quanto necessario, di durata del giornale di giornata. Se non fosse che quattro chiacchiere con un parroco che tocca ogni giorno con mano cosa voglia dire questa crisi devastante, visto che il quartiere è di quelli popolari, sensibile più che mai ad ogni “tremor di foglia”, fa risolutamente cambiare tono e peso, allargando l’orizzonte, all’“esperimento”, senza nascondere, anche, che ormai le folle in chiesa sono un lontano ricordo.

«Diciamola tutta - attacca don Lino - a un certo punto mi son detto che era ora di smetterla di parlarsi e giocare sempre in famiglia, tra di noi, con tutti quelli, pochi o tanti che fossero, che venivano in chiesa, che frequentavano la catechesi e via discorrendo con tutto il resto. Fermiamoci, mi son detto, e con il nuovo consiglio pastorale abbiamo pensato ad altro». Per capire cos’altro fosse quest’altro ci ha messo pochi minuti a spiegarlo. «Insomma - continua - è certo bello e importante stare in famiglia, ci mancherebbe, ma la Chiesa guarda al mondo, a tutti, compresi non credenti, agnostici, atei e chi più ne ha più ne metta. Se non siamo capaci di accogliere ci possiamo dichiarare falliti. Punto e a capo». Ci vuol poco a scorgere in tutto ciò l’indirizzo del magistero di papa Francesco, per quanto don Livio a questi precetti del Vangelo si sia sempre attenuto nella pratica quotidiana fin da tempi non sospetti. Beccandosi pure, in passato, qualche richiamo all’ordine, sobrio, per carità, ma pur sempre ammonimento.

Ha preso in mano il telefono e ha chiamato don Paul Renner: gran teologo, certo, ma pure fine comunicatore. E ha tirato fuori qualche migliaia di euro per uno schermo gigante da mettere nella sala dell’oratorio. Il programma ce l’aveva già in testa. Incontri, sette, fino a maggio, prendendo a spunto il Padre nostro e altrettanti le parabole. «Ma mica per parlar di alta teologia e senza volersi ergere a giudici, la Chiesa l’ha fatto per fin troppo tempo - s’infervora - ma per discutere dell’oggi, della bellezza, nonostante tutto, della vita. Smettendola con questo senso di colpa, quasi fosse un cilicio da portarsi addosso fin che campi. Rivolgendosi a tutti, usando YouTube, video, musica, film. E lo sa che ho dovuto cambiar posto? Dall’oratorio ho portato lo schermo in chiesa e mi son ritrovato con una media di 400 persone alla volta, e un picco di 650, di cui tante, ma tante, che non avevo proprio mai visto. E quante parole! Concrete, in piena libertà di coscienza. E senza chiedere la carta d’identità del credente a chi entra in chiesa».

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